BATTAGLIA TRA FRUTTIVENDOLI
Una volta la frutta, almeno
al mio paese, Banzi, la si mangiava solo quando maturava nella propria
vigna: fichi essenzialmente. La vigna di mio nonno a Genzano di Lucania, invece,
era molto più fornita: oltre alle diverse varietà di fichi, c'erano anche
nespole, percoche, susine, pere e melograni. Peccato che, a causa della
lontananza,
ci si andava raramente. I melograni e le nespole i nonni non mancavano
però mai di farceli avere, perché essi non si alteravano subito, anzi,
soprattutto le nespole, avevano ancora bisogno di tempo per maturare, avendo
l'agio di sperimentare così direttamente il proverbio "col tempo e con la
paglia maturano le nespole".
Quando venivano finalmente mature, esse diventavano
una leccornia, da gustare un po' per volta. Io lo facevo al ritorno da scuola: mi
riempivo una tasca e me le mangiavo per strada. Le mangiavo integralmente, senza
sputarne i semi, a meno che non fosse necessario usarli come proiettili per
lanciarli addosso a qualcuno. Le nespole erano un po' una consolazione alla
tristezza del ritorno a scuola.
Fuori dalla frutta delle proprie piante, c'erano solo le arachidi che si
comperavano per la festa di San Vito (il 15 giugno) ed i lupini di mio zio
Nicola, ma questi a casa mia non si mangiavano mai. Inoltre, raramente, arrivava
da non so dove un rivenditore ambulante di cui ricordo ancora il nome, o forse il
soprannome, un tale "Z' Carrudd", che portava prelibatezze varie: a me
sono rimaste impresse la carrube, che erano un frutto inconsueto e stranissimo
allora. Egli era un personaggio simpatico, molto amato soprattutto dai bambini,
da un mio nipote, Michele Riccardi, in modo molto particolare. Quando infatti
gli si chiedeva cosa volesse fare da grande, egli non aveva alcuna esitazione a
rispondere: - "u' z' Carrudd".
Ad un certo punto però arrivò da Bisceglie un fruttivendolo che si stabilizzò
nel paese e chi aveva la disponibilità economica potè mangiare la frutta senza
dover aspettare più che maturasse quella dei propri alberi. A casa mia,
tuttavia,
bisognava continuare ad aspettare ancora solo questa.
Quando nostra madre ci faceva la sorpresa
di portare nel cesto i primi fichi della stagione, li mangiavano con incredibile voracità.
Ma erano pochi, allora li gustavamo spalmati su una fetta di pane, come
companatico. Era uno spettacolo vedere come li mangiasse mio fratello Domenico.
Tagliava una fetta di pane lunga trenta centimetri, vi adagiava sopra pezzi di
fichi e, con ogni dito premuto su ciascuno, come se dovesse
otturare tutti i buchi d'un flauto, tenendo in perfetto equilibrio l'insieme, che sembrava quasi un
piccola autostrada, lo affrontava a morsi. Accadeva
però talvolta che lo strappo dei denti al pane facesse cadere qualche pezzo
di fico, ma non c'era alcun problema: lo raccattava, gli dava su una soffiata e
ritornava al suo posto, in attesa del suo turno in bocca.
Andando avanti negli anni, con l'emigrazione di tanti nostri
padri in Germania, arrivò un po' di benessere per tutti, tale da consentirci di
cominciare a comperare qualche volta anche la frutta. Ed accadeva che, oltre a
"Ciccill u' visciglies", faccesse irruzione a Banzi anche qualche
altro fruttivendolo dai paesi vicini. Uno di questi veniva da Palazzo San
Gervasio, detto appunto "Lorinz u' palazzes". La concorrenza esterna
non era però tollerata da quello locale. Allora egli ingaggiava una battaglia
furibonda con l'intruso per farlo fuori, il quale non si dava però per vinto,
rispondendo colpo su colpo.
Così accadeva che, mentre Ciccill con le sue urla cantate,
cercava di blandire le nostre mamme a che comperassero le pesche, od i cachi, a
due chili 100 lire, all'improvviso, dall'altro capo della strada, Lorinz
lanciava con urla ancora più sguaiate e convincenti la propria offerta a tre
chili 100 lire.
Allora quelle signore che stavano approssimandosi al carretto
di Ciccill, improvvisamente facevano inversione ad u e si dirigevano verso
quello del palazzese. Ma siccome il rivenditore paesano non poteva assistere
rassegnato alla sua disfatta, rilanciava immediatamente anche lui l'offerta a 4
chili cento lire. Le donne incamminatesi verso il forestiero facevano allora
ancora dietro front verso il paesano.
Ma Lorinz poteva essere venuto a Banzi a fare tanta strada
col suo carro per ritornarsene con la frutta invenduta e mezza marcia? A far
stancare inoltre inutilmente il suo cavallo, al quale aveva dovuto anche dargli
da mangiare tanta biada per affrontare un viaggio di 10 chilometri?
Evidentemente no.
Allora non gli rimaneva che fare ancora un rilancio: 5 chili
100 lire. Di tutta questa situazione chi ne facevano le spese - compensate però
anche da un'ottima spesa - erano ovviamente le nostre mamme che, poverine, erano
costrette, frastornate, a fare la spola tra un fruttivendolo e l'altro i quali,
alla fine, si rassegnavano entrambi a vendere pesche o cachi a 5 chili 100 lire.
A quel punto finiva finalmente la spola delle nostre mamme e si svuotavano in
fretta e completamente anche le cassette della frutta dei rivenditori giacché,
se vi rimaneva qualche pesca o caco marci, i fruttivendoli, a conclusione della
battaglia, se li lanciavano infine addosso l'un l'altro.
E noi bambini, dopo esserci goduti lo spettacolo, potevamo
anche goderci finalmente frutta a sazietà: nessuna mamma, infatti, per quanto
povera o tirchia fosse, avrebbe potuto trattenersi dal comperarla ad un così
prezzo stracciato e bisognava approfittare di queste rare occasioni, perché
Lorinz u' palazzes non poteva arrischiarsi di venire troppo di frequente a
Banzi, avendo oltretutto anche il cavallo molto vecchio. Le nostre mamme, però,
esitavano sempre ad acquistare la frutta da Ciccill, cercando prima di captare
nell'aria se non giungessero da lontano le grida del generoso Lorinz u'
palazzes.
Successivamente, quando a scuola studiavamo in economia
politica i regimi del monopolio e quello della libera concorrenza, mi veniva sempre in
mente la situazione del fruttivendolo esclusivo del paese e quella dell'arrivo
del forestiero, riuscendo a cogliere senza difficoltà la loro differenza ed i
grandi benefici che i consumatori traevano dal regime di libera concorrenza.