DIMMI COME CAMMINI E TI DIRO' CHI SEI

   Lo so - avrebbe detto Gigi Proietti, come continuando quel simpatico spot sul rinnovo dell'abbonamento alla televisione - il titolo è una parafrasi del detto di Banzi "dimmi con chi vai e ti dirò chi sei", del quale una volta, e forse tuttora, al mio paese si teneva scrupolosamente conto nel tessere le relazioni sociali, nell'organizzazione ed instaurazione dei rapporti, di qualunque specie, prestando attenzione a che non si mutuasse l'identità altrui, soprattutto se di classe sociale "meno nobile".
    A tenerne conto erano già i maestri a scuola, i quali, nell'assegnare i posti agli scolari, ti rendevano subito l'idea di cosa significasse l'espressione "classe sociale", attesa la cura che ci mettevano nel collocare nei banchi davanti - a prescindere dalla loro statura - i figli di loro colleghi, avvocati, medici, impiegati, artigiani e via di seguito, e relegando in fondo quelli dei vaccari, pecorai, contadini, facchini, braccianti. 
   Così, mentre i primi erano all'immediato cospetto del maestro, a bocca aperta a farsi riversare il suo scibile ed a bearsi della sua contemplazione, ricambiata dal maestro con sguardi compiaciuti, sorrisi, complimenti, belle parole, esclamazioni di bravo, gli altri erano pressoché ignorati, e presso di loro il maestro andava in missione solo quando sentiva il bisogno di sgranchirsi e sfogare certe pulsioni. 
   Allora, boomm, scendeva dalla pedana, facendo vibrare il solaio, il quale sembrava anzi tremare per solidarietà con gli scolari, sul volto impallidito di tanti dei quali si leggeva l'interrogativo: toccherà prenderle a me oggi?
   Qualche insegnante poi andava anche oltre (ciò l'ho sentito raccontare qualche estate fa da una ragazza che ne ha vissuto personalmente l'esperienza), nel senso che, ritenendo talune scolare, in quanto appartenenti a famiglie umili, già predestinate ad umili mestieri, spesso concedevano loro permessi speciali per uscire di classe ed andare a farsi pulire le loro case e quelle di loro parenti, pure loro facenti parte del ceto nobile.
   Ma anche gli scolari tessevano relazioni tra di loro avendo cura di selezionarne l'appartenenza ad una famiglia per così dire alla pari. Certo, poteva anche accadere che, se eri particolarmente bravo a scuola, qualche volta venivi invitato a casa di scolari "altolocati"per fare i compiti insieme; ma, finita la scuola, siffatte frequentazioni, peraltro disagevoli, avevano termine, in modo spontaneo e naturale, ritornando ai fedeli compagni di strada, con cui trascorrevi tutta l'estate insieme, piacevolmente e senza rimpianti dei "figli di mamma".
   Anche per quanto riguardava i sacramenti si teneva in debita considerazione la collocazione sociale della famiglia, nel cui ambito andare a cercare il compare o la comare per il battesimo o la cresima. 
   Mi è rimasta impressa al riguardo l'affermazione di mio padre in occasione della mia cresima (e quella di mio fratello), mentre si era a tavola a pranzare allegramente insieme con i compari ed i loro genitori, il quale esclamò dicendo: "pari compari!". Il che voleva significare: come si sarebbe potuto stare a tavola bene insieme, a farsi quella bella mangiata, se il compare non fosse stato un tuo simile?
   Tuttavia, alle regole ci sono sempre le eccezioni. Tra i miei compagni di strada si aggiungeva talvolta Antonio Patruno (chiamato scherzosamente "Jucsidd" per il suo difetto di pronuncia della "c" dolce), e mi ricordo che egli scelse come compare per la cresima nientedimeno che il suo maestro, "Don Donato", facendo poi bella mostra dell'orologio avuto in regalo. Sparsasi la voce che tale maestro era avvicinabile e si prestava a fare il compare, il gioielliere Linzalata di Genzano deve aver fatto non poco guadagno grazie ai suoi "comparaggi".
   Eppure non mi spiego una contraddizione: come mai, se Don Donato si contraddistingueva per essere un maestro popolare, disponibile, alla portata di tutti, e mi ricordo anche di carattere mite e dolce, è stato l'unico di Banzi a subire un processo penale per percosse ad un alunno? Meno male che, se ricordo bene, ne uscì assolto!
   Non ne parliamo poi di un altro sacramento, il sesto ed ultimo, ovverosia il matrimonio! In questo caso la selezione dello sposo/della sposa era quanto mai rigorosa e non poteva prescindere dall'appartenenza ad una famiglia ritenuta di pari classe sociale. 
   Per esempio, io che sono figlio di contadini, quando ebbi l'avventura d'innamorarmi della figlia del mugnaio, ciò mi sembrò una velleità, parendomi impossibile che potessi arrivare a sposarla. E non vi dico l'imbarazzo che avevo, quando d'estate dovevo passare davanti a casa sua (all'epoca l'unica villa del paese) con la zappa sulle spalle, per andare con mia madre a zappare la vigna! 
   Tuttavia, quando certe cose si desiderano davvero, chissà, forse si mettono in moto delle forze misteriose, che fanno sì che esse possano accadere. Così è stato per me.
   Ma immagino i commenti che mio suocero, mentre passeggiava in piazza con l'avvocato Caffio, avrebbe potuto fare con lui, se all'epoca fosse venuto a sapere che io ero pretendente di sua figlia, rincalzato peraltro sicuramente dal suo illustre amico, che non avrebbe mancato di sottolineare essere io figlio, non solo di un contadino, ma anche di un delinquente che aveva subito un processo penale - di cui egli era stato avvocato di parte civile della persona offesa - nientedimeno che per ingiuria di una signora vicina di casa, avendola epitetata zoccola (a scanso di equivoci preciso che tale donna non era di Banzi e da tempo immemore è ritornata al suo paese d'origine, Genzano, ora sicuramente scomparsa dalla faccia della terra pure lei).
  
[Mio padre, in un momento di esasperazione, è vero, l'aveva apostrofata così (anche perché lei lo era davvero), ma Caffio non riuscì a far condannare mio padre, che, difeso dall'avvocato Lettieri di Genzano, si procurò due testimoni vicini di casa, rispettabili padri di famiglia, la cui deposizione fu ritenuta dal Pretore più attendibile di quella di una vecchia, mezza cieca e sorda, e della nipote di lei: i testimoni a favore di mio padre dichiararono il falso, ma egli poté continuare così a lavorare per sfamare cinque bocche di figli ed evitare di vendersi qualche terreno per risarcire i danni morali e pagare le spese legali e di giudizio. 
   E la vicina di casa, che per recarsi al processo presso la Pretura di Genzano prese il postale, convinta di vedere condannato mio padre e spillargli dei quattrini, persa la causa, se ne ritornò mogia a piedi... non saprei dire adesso se caso mai insieme a mio padre, che, durante il ritorno, le abbia aggiunto anche qualche razione d'insulti.
   L'evento fece comunque all'epoca (sarà stato intorno al 1955/56) molto clamore e so che più di qualche banzese vi partecipò, raccontando in seguito divertito tutto il processo: uno in particolare - il padre di Rosa Nicolò - era molto bravo a mimare per filo e per segno la requisitoria, le arringhe degli avvocati, le deposizioni dei testimoni, la gioia di mio padre e del suo avvocato a sentire dichiarare l'assoluzione dal giudice, la delusione della vicina di casa e del suo avvocato.
   Alla sentenza del Pretore non fu opposto appello, però l'avvocato Caffio, quando ebbe mio fratello suo studente all'avviamento professionale, sarà stato un caso, ma non è da escludere che, memore di quell'insuccesso, si sia rivalso con lui, rimandandolo a settembre in francese.]

   Comunque, e per concludere questa parafrasi digressiva, una riprova eloquente ed esaustiva dell'aforisma
"dimmi con chi vai e ti dirò chi sei" la si può avere tuttora dando un'occhiata in piazza, dove non può sfuggire come le aggregazioni di chi vi passeggia non siano mai casuali, bensì combinate sempre tenendo conto, in qualche modo, del ceto sociale delle persone.

   Ma, continuando ad usare ancora le espressioni di Proietti, "a me mi piace" riconoscere le persone soprattutto da come esse camminano. 
   Per esempio, se a Banzi vedi passare una donna che incede solenne ed austera, con l'espressione di una "madonna incagnata" - come ha poetato Scotellaro -, che cammina "'nduss" pur non indossando un abito da sposa, si tratta sicuramente di una maestra.
   Se vedi passare invece un uomo che interpone una lunga pausa tra un passo e l'altro, guardandosi nel frattempo intorno per vedere se nei paraggi ci sia qualcuno che riempia quella pausa suonandogli, come fosse una campana, un "don", allora non puoi sbagliarti, ad occhi chiusi indovini che costui è un maestro.
   Io sarò stato riconoscibile per andare "solo e pensoso per i deserti campi a passi tardi e lenti": lo aveva già notato fin da quando ero piccolo "Mast Rocc" il quale, allorché m'incontrava, non immaginandone il motivo, mi domandava puntualmente:"ma perché cammini guardando per terra"? 
   Tuttavia, se doveste incontrare adesso ancora uno a Banzi che cammina così, non confondetevi, quello non è più Tonino, bensì "Francesco" (Petrarca) che ogni tanto si stufa di rimanere incollato appeso alla mostra fotografica del sito-web di Sapio e va a prendere una boccata d'aria all'aperto, mostrandosi, così, dal vivo.
   Nei paraggi dove abitavo a Banzi, c'era una ragazza che per fare un sacco di mosse quando camminava - evidentemente allo scopo di attirare su di sé l'attenzione e potersi maritare - ha finito con l'essere soprannominata "centopassimillemosse": il mio collega web-master banzese ne ha dato puntuale documentazione nella pagina dei soprannomi.
   Tuttavia gli è sfuggito il soprannome di un'altra persona, abitante pure lei nei miei paraggi - si tratta di un uomo in questo caso -, che per il movimento dei piedi ed il rumore che faceva con le scarpe, fu soprannominato "pont e tacc".
   Comunque, il campionario completo lo si può ammirare, anche in questo caso, in piazza in relazione al modo come le persone vi si "piazzano" in essa, la occupano e vi si muovono.
   Non può sfuggire - anche se non si è osservatori acuti - che il rapporto con la piazza non è uguale per tutti: alcuni vi si sentono più padroni, la galoppano come se fosse una cavalla domata; altri, invece, ne stanno ai margini, come timorosi di essere scalciati, oppure, stanno ai margini semplicemente per snobismo, un po' come una volta erano fare alcuni che, per distinguersi, nei giorni di festa non indossavano il vestito nuovo, bensì quello ordinario di tutti i giorni.
   E' come ammirare uno spettacolo, vedere il passeggiare della gente, ad esempio, in una serata d'agosto, quando ognuno vuole far vedere chi é, muovendosi in modo più o meno sussiegoso, studiando l'andatura più appropriata, guardandosi intorno e sorridendo in una certa maniera, riprendendo possesso del luogo come se ne fosse l'antico padrone.
   Taluni poi, per ostentare la propria importanza, fanno un'occupazione quasi militare della piazza. Allora è davvero uno spettacolo esilarante vederli procedere a schiera, compatti come un plotone di esecuzione, attraversarla tutta, avanti ed indietro, avanti ed indietro; e guai a chi non si scansa, ne verrebbe travolto. Poi, quando arrivano in fondo, mica che girano ognuno su sé stesso, svoltano come un cancello: l'unica variabile può essere che il cardine sia a destra od a sinistra.
   Io provo una sorta di sensazione di beatitudine quando incontro un ex compagno di scuola dal sorriso luminoso e dall'andatura da Papa. Qualche anno fa, guarda caso, ne aveva interpretato il ruolo in occasione della rievocazione annuale della visita di Urbano II, e lo aveva fatto così bene che Mario Trufelli era convinto, chiedendomi conferma di ciò, che il Papa lo facesse ogni anno lui, a vita come quello vero.
   Ma le persone non ostentano sé stesse solo camminando, a tanti piace esporsi, anzi "ammarrarsi" agli sguardi altrui stando seduti intorno ai tavoli dei bar in piazza, mostrando di essere tanto più importanti quanto più li riempiono di bottiglie di bibite, bicchieri, coppe, ecc.
   
   Ci sono delle posizioni strategiche per ammirare meglio il movimento della piazza. Una è dal Roxy Bar. Un giorno lì davanti, tra i diversi giocatori di scopa e tressette, ne notai due. Uno di loro, tra una buttata e l'altra di carta, buttava anche lo sguardo in piazza, mostrando un'espressione di particolare compiacimento quando vi passava vicino "il plotone di esecuzione" detto sopra e sembrando quasi esclamare ed additare all'altro: "guarda là il mio maresciallo, guarda là il mio capitano!". 
   L'altro allora, per non essere da meno quanto a forze armate, come a volergli implicitamente rispondere, esclama a sua volta, anch'egli col solo sguardo: "eh, il mio colonnello ed il mio generale invece non hanno più voglia di venire a Banzi"! ... è arcinoto che costui le spara sempre grosse.
   Oltre ad aver fornito sottufficiali, ufficiali, colonnelli e generali alle forze armate, c'è un altro denominatore comune che lega quelle due persone: aver mancato di diventare, sia l'uno che l'altro, suoceri di una tale Teresa Giacomino.
   Da quella postazione si vede apparire spesso anche un altro osservatore, che si compiace anch'egli di ammirare il brulicare della gente in piazza, perché di tutti loro ne è il primo cittadino e poi anche e soprattutto perché proprio nel Roxy Bar ha avuto la benedizione per diventarlo. Egli però non rimane a lungo lì, perché gli piace anche offrirsi alla contemplazione ravvicinata della gente ed allora scende in piazza a fare avanti ed indietro anche lui, però, a differenza del Papa, nessuno gli si protende per baciargli la mano.
   Per attirare più persone a Banzi, tale primo cittadino, di recente, ha disposto di rifare il sito-web del Comune di Banzi e, guarda caso, la solita "ambasciattrice" mi informa che la pensata ha già prodotto l'effetto sperato, se è vero che Letizia e Luisa (ignoro però chi esse siano) hanno già deciso di andare proprio a Banzi il prossimo mese di agosto per farsi battezzare nella famosa "abbazzia" benedettina di Santa Maria: ma chi saranno le madrine ed i padrini?
   In piazza c'è anche una persona che, dall'andatura sorniona, riconosco chi è. Tuttavia, non chiedetemi di citarne il nome, perché egli incute timor panico per la vendetta tremenda che sta meditando di consumare nella primavera del 2009: affinché non accada più quel che successe nel 2004, a titolo dimostrativo (oltre che scaramantico), ho sentito che taglierà preventivamente la testa a tredici bambini... perché gli adulti sappiano regolarsi. 
   Di lui posso solo dire che assomiglia ad una specie di gatto, con delle vibrisse molto folte, e che è pronto a fare un balzo felino al momento opportuno per travolgere con una zampata il suo rivale... non in amore però.
   Dalla mimica delle mani, riconosco invece due persone: una sembra fare le veci di mio suocero, anche se non passeggia con l'avvocato Caffio, l'altra per il suo inconfondibile modo di salutare.
   Poi riconosco anche l'appartenenza di una testa che emerge dall'onda di quelle della folla in piazza e, come fosse piantata su un collo di giraffa, guarda qua e là per vedere nei volti altrui espressioni di corrispondenza "di amorosi sensi", a riconoscenza di ciò che fa per rendere Banzi famoso.
   Un'altra testa sembra invece rimanere affogata nell'onda della folla. Ciononostante il suo padrone si muove allegramente con essa, mettendosi anche a cantare una famosa canzone di Cristina D'Avena: "Che bello essere un puffo". Lo sente un altro puffo ed insieme si mettono a cantare ed a ballare: "Puffo di qua, puffo di là", "Puffi la la la".

   Finito quel "puffo"spettacolo, me ne vado a fare un giro per il bosco. Da lontano mi pare intravedere la sagoma di una persona. E' una donna che porta in testa un fascio di legna e, pur con quel peso gravoso, cammina lesta lesta con le mani sui fianchi. 
   La riconosco subito: è Severina, mia madre. Le vado rapido e premuroso incontro per prendere sulle mie spalle il fascio di legna, ma lei mi dice che basta sfili solo un ramo di carpine. Gliene estraggo tre, i più grossi. Allora lei, alleggeritasi, sembra quasi volare, anzi prende il volo davvero, fino a scomparire in cielo.

21 luglio 2007

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