E COSI' FU
di Michele Rigato
La leggenda del tesoro
Io ero ancora piccolo quando morì la zia
Saveria, l'unica sorella di mia mamma. Vito, mio padre, aveva infatti sposato la
sorella più grande Maria, e mia zia aveva sposato il fratello più piccolo di
mio padre. Tra di noi ci siamo voluti sempre molto bene. La zia lasciò tre
figli: Peppino di otto o nove anni, Stefano di quattro e Vito di due. Quando la
zia morì era ancora in vita la mammanonna di mio padre che viveva con lo zio ed
era lei che accudiva alle faccende del figlio vedovo e dei nipoti. Uno di
questi, il piccolo Vito, aveva un'ernia vescicale che in alcuni giorni usciva
fuori. Vito non non fu mai operato e così un giorno morì. Lo zio abitava in
una casa di via Garibaldi presa in affitto. Aveva una bella cavalla che però
tirava i morsi e un giorno fu mia sorella Maria che si prese un bel morso e in
quell' occasione lo zio dette un sacco di botte a quella cavalla. Poi mio zio si
risposò. Prese per moglie una buona massaia di Genzano di nome Caputo Grazia.
Da lei ebbe altri sei figli: una femmina di nome Teresina che morì ad undici
anni, e cinque figli maschi: Domenico, Donato, Pasquale, Antonio e Vito. Di
questi solo Vito vive ora a Banzi, gli altri quattro fratelli sono invece a
emigrati a Toronto, in Canada.
La mia seconda zia, la genzanese, aveva avuto per dote una
vigna in contrada Le Ralle dove anch'io andavo diverse volte perché in famiglia
ci aiutavamo sempre l'uno con l'altro.
La nonna morì il quindici d'agosto. L'altro fratello di mio
padre aveva anche lui una bella famiglia: Teresa, Rosa, Michele, Savino e
Peppina. La moglie si chiamava zia Angela ed anche con lei ci volevamo sempre
molto bene. Quando zia Angela morì i figli erano già quasi tutti sistemati.
Solo Savino non si era ancora sposato. Quando infine anche Savino trovò la sua
anima gemella prima che si sposassero fecero un pasticcio e nacque così il loro
primo figlio in una situazione economica di grande precarietà.
Anche lo zio Domenico, rimasto vedovo di zia Angela, si
risposò. Prese moglie a Forenza, una bella donnina zoppa che si chiamava Lucia
ed era tanto buona anche lei.
Nel nostro piccolo paese ci conoscevamo tutti, uno per uno.
Fra tutte le famiglie c'era molta cordialità. Nonostante tutti i guai di
miseria e di salute che avevamo non trovavi persona, ricca o povera che fosse,
che non ti salutasse. Tutti quanti ci salutavamo e quando succedeva che in una
famiglia qualcuno moriva, allora i parenti portavano a casa del morto il
consòlo: cioè dopo i funerali si preparava questo consòlo a secondo le
possibilità che una famiglia poteva permettersi. Era una specie di banchetto
molto discreto perché, per non essere criticati, in quell' occasione non si
doveva mangiare quasi niente.
Quando moriva un capofamiglia la moglie si scapellava, si
graffiava le guance, lei e gli altri familiari piangevano con grida di sfogo e
tutto il paese partecipava al lutto ed andava a dare le condoglianze. Dopo la
sepoltura per tre giorni la fami- glia del defunto non usciva e rimaneva chiusa
in casa dove tutti potevano recarsi per assolvere al dovere di compartecipare al
dolore dando le condoglianze.
Dopo aver accompagnato il fèretro al cimitero si tornava
tutti alla casa del deceduto per intrattenersi con i familiari facendo loro un
po' di compagnia per sostegno morale, sollevandoli così dal peso della perdita
per la scomparsa della per- sona cara.
Nel mio piccolo paese, pieno di miseria,
prima non c'era neanche la luce elettrica.
La compagnia che fece tutti gli impianti si chiamava la
Calabro-Lucana e gli impianti li fece la prima volta ad Acerenza. Prima che
giungesse l'elettricità si andava a candele e a lume a petrolio.
Ricordo una volta che c'era la neve e mia
sorella Teresa, che era già signorina, era andata col lume a comperare il
petrolio alla bottega di Canio Franculli, che era l'unica bottega esistente nel
paese e dove si vendeva di tutto. Mia sorella dovette tornare a casa perché
c'erano dei giovanotti che faceva- no dispetti alle ragazze tirando palle di
neve. Teresa rientrò a casa quasi piangendo perché per colpa di quei ragazzi
non poté adempiere al servizio di andare alla bottega e all'epoca erano botte
se un figlio o una figlia facevano male un servizio o addirittura non lo
facevano disubbidendo così ai loro genitori.
A quei tempi in paese non c'era neanche la fognatura e a
raccogliere le immondizie durante il giorno ci pensava un uomo che girava per il
paese con un traìno tirato da un mulo. Lo stesso uomo faceva il giro del paese
alla sera con il mulo che questa volta trainava una botte. L'uomo ad ogni strada
suonava una trombetta e le persone uscivano tutte in strada con i vasi da notte
e li andavano a svuotare nella botte.
L'uso del vaso era una comodità legata solo alle donne. Noi
uomini andavamo a fare i nostri bisogni fuori, nei dintorni del paese, e quando
faceva freddo e c'era la neve si andava vicini a qualche muta di paglia per
sbrigare l'atto corporale.
Ma infine, dopo poco tempo dall'arrivo della luce elettrica,
con la quale finalmente si poteva guardare bene, venne pure un'impresa a fare le
fognature, ma le fecero male, furono un sacco di soldi spesi male. Scavarono e
costruirono un cunicolo che non serviva a niente perché era stretto e molte
volte si otturava e così dai pozzetti usciva tutto in mezzo alla strada, dove
lo spazzino doveva provvedere al lavoro di sgombero.
Durante gli scavi per la fognatura furono trovate molte
tombe, con degli abitacoli a volte, dove si sono trovate e prese tante cose
archeologiche perché nell' antichità Banzi, che si chiamava Bantia, prima di
essere distrutta era un grande paese, dicevano che contasse quasi trecentomila
persone e invece adesso conta solo tre o quattromila abitanti (n.d.r. in
realtà gli abitanti risultanti dal censimento dell'anno 2001 sono appena 1.514).
I vecchi dicevano che era stata costruita sopra a sette monti con l'abbazia e
con la grotta santa di San Bartolomeo che si trova in capo alle coste, sul fiume
Banzullo, oggi di proprietà di Vito Grippo Pitichino.
In paese diverse persone hanno trovato dei tesori. Quando si
scavava per fare le fondazioni per edificare la propria casa si trovavano sempre
tombe e qualche cosa d'antico. Un mio parente trovò molta roba che poi gli fu
portata via perché gli invidiosi chiamarono la polizia scientifica e questa gli
sequestrò quasi tutto. C'era anche una grossa pignatta contenente oro macinato
che fu scambiata per sabbia e gettata nella terra di sgombero. So però che un
ragazzo che lavorava con i muratori andò la notte con un compagno a prendere
una pignatta piena d'oro che era appartenuta al re Luigi V dei Saraceni.
Anche verso la Fontana dei Monaci una mattina vi trovarono
tante fosse grandi con tante lastre grandi di copertura ma nessuno ha mai saputo
chi fosse andato di notte tempo a fare quegli scavi e che cosa vi avesse
trovato, poi qualche tesoro ci doveva essere anche nella contrada di Sant'
Arcangelo dove la famiglia dei fratelli Garramone ha costruito una masseria.
Poco distante dalla masseria, nel bosco, c'è un pozzo che
sembra pieno e si chiama il Pozzo di Sant'Arcangelo, lì vicino c'è una grotta
che adesso è quasi annegata e che si chiama la grotta dei briganti di Sant'
Arcangelo dove si racconta che ci sono molti tesori che nessuno, però, è mai
riuscito a prendere.
Si racconta che un giorno un capraio era entrato in questa
grotta e mentre le capre mangiavano nella folta vegetazione del posto, dove
c'erano anche grandi cerri il cui legname è adatto per le costruzioni, lui
s'incamminò dentro la grotta e più o meno alla distanza di una ventina di
metri vide barili pieni di tanto oro ed argento. L'uomo ne prese uno e lo stava
portando fuori quando sentì come degli ululati, uno scampanellìo e un
frastuono di lotta, come se fuori c'erano i lupi che gli stavano portando via le
capre. Invece quando uscì vide che le capre stavano sempre lì dove le aveva
lasciate, allora tornò indietro per prendere il barile d'oro ma non l'ha più
trovato.
Ostinato a capire cos' era successo e a riprendersi il barile
d'oro, l'uomo si addentrò ancora di più nella grotta fino a giungere davanti
ad un tavolo con delle persone che vi erano sedute intorno e che stavano
scrivendo. Il capraio chiede allora agli uomini che scrivevano se era- no stati
loro a portargli via il barile. Uno di questi smise di scrivere, alzò lo
sguardo verso il capraio e gli disse che se per davvero lui voleva tutta la
ricchezza che era dentro quella I grotta doveva firmare un patto con loro e
doveva anche farsi I fare un segno col sangue all'altezza della spalla destra.
Il ca-praio non accettò e se ne uscì senza niente.
Dopo il pastore delle capre ci furono anche altri uomini '
che provarono ad entrare nella grotta per cercare il tesoro nascosto. Una volta
toccò ad otto o dieci uomini di Banzi tutti uno più coraggioso dell'altro.
Entrati nella grotta riuscirono a prendere un barile pieno d'oro ma questo,
mentre si stavano avvicinando all'uscita, era nel frattempo diventato tanto
pesante che quasi non ce la facevano più a trasportarlo. Allora uno di questi
uomini, Bevilacqua Sabatino, disse: «Coraggio ragazzi che la Madonna ci fa la
grazia. Ancora un altro po' e siamo fuori».
Ma l'uomo non aveva neanche finito di parlare che
all'improvviso si trovarono tutti fuori dalla grotta, in mezzo a boschi
sconosciuti perché molto lontani dal nostro paese. Ci fu chi finì nel bosco di
Monticchio e chi nei boschi di Potenza. Qualcuno per tornare a casa impiegò dai
quindici ai venti giorni. Questo successe perché avevano pronunciato il nome
della Madonna.
Anch'io un giorno, andando a legna, provai ad entrare r nella
grotta, la cui imboccatura, che dava sul vallone del Cugno di Forenza, era
franata e piena di terra. Cominciai ad avanzare sulla superficie camminando
carponi, ma non avevo niente con me per poter far luce, nemmeno una torcia
elettrica o semplicemente un fiammifero, inoltre avevo i cavalli che avevo
lasciato fuori al pascolo, e per questi motivi rinunciai ad inoltrarmi e dopo di
allora non ci ho mai più provato anche perché, a sentire quegli uomini che si
erano ritrovati sbattuti lontani, quei tesori erano posseduti dal demonio.
Nella campagna di Banzi oltre alla grotta di Sant' Arcangelo
c'è anche un altro luogo particolare che viene chiamato il Pozzo del Tesoro.
Adesso da lì vicino ci passa la strada di Cassano che prima invece era un
tratturo comunale. Il pozzo del tesoro è una grossa cavità del terreno che io
penso che dovrebbe essere anche lo sbocco all'esterno di un cammino sotterraneo.
Se dentro quella buca, nella quale sono caduti anche tanti animali come buoi o
pecore, butti di sbieco un grosso macigno lo senti battere lungo le pareti da un
lato all'altro, ma alla fine però non si sente il tonfo di arrivo.
pag. 30-35 del libro pubblicato a cura di Canio Franculli da PianetaLibroEditori
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