FOLLOWER OR FOLLOWING?
It is
not the question for me
Lattuga meraviglia
Riflettendo
un attimo, ognuno di noi deve per forza rientrare in qualche categoria. Quando
frequentavo la scuola elementare, talvolta il mio maestro, per diletto (un
po' sadico), componeva estemporaneamente tre file di banchi, in cui
collocava gli scolari, assegnando a ciascuna, rispettivamente, la
categoria dei cavalli, dei muli e dei somari. Per
chi fosse curioso di sapere in quale fila venissi aggregato, la mia era
quella dei cavalli. Scommetto
tuttavia che, se il mio maestro avesse potuto solo immaginare che, mezzo
secolo dopo, un anno prima della sua dipartita, sarebbe stato indotto a
querelarmi per diffamazione continuata ed aggravata (senza riuscire però
a mandarmi in prigione), la mia fila sarebbe stata senz'altro quella dei
somari, con assegnazione della " pole position" per le frustate
migliori. Già
da allora, naturalmente, non si poteva non seguire il calcio e non essere
tifoso di qualche squadra. Basti a documentarlo in modo probante il grande
successo avuto dalla famosa canzone "La partita di pallone"
lanciata da Rita Pavone nel gennaio 1962, con la quale veniva manifestata
la sconsolazione di essere lasciata sola alla domenica dal marito per
l'immancabile partita. E, se, prima dell'avvento di radio e televisione,
si tifava di default per la squadra del proprio paese (mi ricordo
che per quella locale l'inno era "olio, petrolio, benzina minerale,
per vincere Banzi ci vuol la nazionale"), successivamente gli
schieramenti erano soprattutto quelli tra juventini ed interisti. Così,
quando ci si incontrava tra ragazzi, la domanda rituale era: tifi per la
Juventus o per l'Inter? Io, però, quanto al calcio, sebbene mi sia sempre
piaciuto giocare a pallone, non mi sono mai sentito un tifoso, perché il
tifo lo considero un qualcosa di stupido, di esagerato, di patologico. Allora,
quando Mimì, mio compagno di scuola, all'inizio degli anni sessanta,
declamava come una poesia imparata a memoria la composizione dell'Inter di
cui era tifoso (mi ricordo ancora il nome di alcuni giocatori come Facchetti,
Picchi, Burgnich, Corso, Mazzola, Jair, Suarez), non ritenevo affatto ciò
motivo di ammirazione. Altrettanto
rifuggivo dal tenere incollate le orecchie ai transistor la domenica
pomeriggio per ascoltare le radiocronache delle partite fatte dai vari
Sandro Ciotti ed Enrico Ameri, scegliendo qualche compagno con cui
passeggiare conversando d'altro; nè ho mai comperato un giornale sportivo
per leggere la fantasmagoriche cronache delle partite; nè, quando vince
la nazionale, mi sono mai esaltato ad andare a strombazzare in giro in
carosello con l'automobile. Anzi,
giacché mi disturba non poco tutto quel frastuono, durante la finale del
1994 tra Brasile ed Italia, durante i calci di rigore, ho fatto anch'io il
tifo (una volta tanto), ma per i Verdeoro... risultando peraltro esso
decisivo, perché gli Azzurri vennero battuti. Comunque,
le figurine dei calciatori non mancavo di collezionarle anch'io,
giocandovi con Rocco Tafaro a far rovesciare le pigne che formavamo,
piegate un po' a coppo, con degli schiaffoni per terra vicino alla loro
base. Era uno dei giochi alternativi a quello dei bottoni e del
"picc'l". A
proposito di quest'ultimo gioco, il gusto particolare che ci provavo debbo
averlo impresso nei cromosomi del mio omonimo nipotino, se l'anno scorso
al mare non mancava mai di afferrare al volo ogni pezzetto di legno che
trovava in giro e, guardandolo, esclamava: piccottolo! Non vi pare che il
termine affondi la radice semantica proprio nel "picc'l" della
mia infanzia? Poca
rilevanza ha poi che il nipotino non lo scagliasse lontano con l'ausilio
di un altro bastone e si divertisse invece a sbatterlo, dopo la pioggia,
nelle pozzanghere, dicendo: "schizzo il nonno"! Ed era abile a
farlo davvero, perché non sgarrava mai una battuta! Ma, ritornando ancora al calcio, qualche altra considerazione sento di dover fare per chiudere il discorso e cioè che di questo sport viene fatta una speculazione parossistica, sembrando che l'universo intero debba ruotare intorno al pallone, che i calciatori vengono trattati come delle divinità od eroi, pur con delle facce a volte orrende, che continuano tuttavia ad essere sbattute nelle vetrine di ogni portale internet, una roba per me oltremodo nauseante. Se fosse per me, farei dieci anni sabbatici senza calcio (ed anche televisione) per riappropriarsi della propria esistenza. Purtuttavia,
incredibile ma vero, anche i cinesi, gente sobria e seria, si sono
lasciati sedurre dalla panna montata del calcio, e, per quanto detestati
da Berlusconi, si sono fatti rifilare il suo Milan al prezzo astronomico
di ben 740 milioni di Euro. Divagando
ancora sulle categorie, anche in ambito politico avveniva una volta quanto
detto per il calcio, ovverosia che la dicotomia nel mio paese era essere
democristiani o comunisti. Ma
tutto ciò è niente rispetto alla categorie della sfera religiosa, che
tanti guai hanno procurato e continuano a cagionare all'umanità, a causa
soprattutto dello scontro tra il monoteismo cristiano e quello
maomettiano. Ma non saremmo tutti più felici se non ci fossero chiese e
moschee, preti, vescovi, cardinali, papi, mullah, imam e califfi? Se,
invece di pensare all'aldilà, agnosticamente ci limitassimo a goderci il
di qua? Ad ammirare delle donne in riva al mare col tanga invece che
avvolte nei burkini? E vengo infine alle futili categorie dei followers e dei followings indicate nel titolo di questa pagina, assomiglianti un po' a quelle dei tifosi e dei calciatori, in nessuna delle quali sento di riconoscermi, ritenendomi un primitivo che detesta greggi e branchi, che preferisce vivere la propria esistenza in solitudine a titolo originario. Pertanto, lungi dal sentirmi un following, non mi ascrivo neppure tra i followers di nessuno, si chiami egli Beppe Gillo o Matteo Renzi non fa differenza. Ciò non toglie che a quest'ultimo ho trasmesso poco tempo fa una lettera all'indirizzo matteo@governo.it per suggerirgli come combattere efficacemente il terrorismo dell'ISIS. Naturalmente non mi ha risposto, in linea ciò col suo stile di blaterare tanto e quagliare poco o niente: che serve dare in pasto a tutti il proprio indirizo email se poi non ti caga? Ho inviato per conoscenza poi la stessa lettera all'altro Matteo di cognome Salvini: neppure questi si è degnato di rispondermi. Per chi fosse curioso di conoscere il contenuto delle lattera, ecco cosa avevo scritto:
"Signor
Presidente,
Quando pubblicai questo sito, oltre quindici anni fa, pur non sapendo ancora come si chiamassero, vantavo anch'io diversi followers, chi per divertirsi, chi per arrabbiarsi, chi per studiare attentamente ogni mia pagina, per inserirne qualcuna in antologie scolastiche o per scovarvi qualche frase, complemento, complimento, verbo, aggettivo, sostantivo, preposizione semplice ed articolata, perfino un apostrofo che potesse in qualche modo offuscare la superbia perfetta del proprio essere, per dolersene nei tribunali. Ora le persone stanno tutte a twittare o postare messaggi e foto su facebook, per guadagnarsi un posto in vetrina con le banalità che vi riversano. Da
quando sono in pensione, però, sembrerà strano, non sto scrivendo più,
perché trovo tanto più entusiasmante e soddisfacente fare il contadino,
ritrovandomi perfettamente in ciò che scriveva Goethe ne' "I dolori
del giovane Werther" all'amico Wilhelm: " Come sono felice
che al mio cuore sia dato di provare la gioia semplice ed innocente
dell'uomo che porta in tavola un cavolo da lui coltivato, e allora gode
non solo del cavolo, ma anche di tutte le buone giornate che rivivono in
quell'istante, il bel mattino in cui lo piantò e le dolci sere in cui lo
innaffiava e si compiaceva di osservarne la crescita". Che
poi, anziché cavolo, si tratti di "lattuga meraviglia", come
quella mostrata sopra in fotografia, non fa differenza e la gioia diventa
ancora maggiore nel regalare tanti bei cespi di essa ad una miriade di
persone. Anni
addietro pensavo che, non appena in pensione, sarei andato a riacquistare
il terreno sotto il cimitero del mio paese, dove mio padre coltivava una
volta la vigna. Ho acquistato invece un appezzamento antistante la casa
dove vivo, ricavandoci un mega orto, in cui sto coltivando di tutto. Ormai
è qualche mese che ci nutriamo quasi esclusivamente dei prodotti da me
coltivati: patate bianche e rosse, pomodori, peperoni dolci e piccanti,
melanzane, rape, insalata, zucchine, zucche, pannocchie, fagioli,
borlotti, fragole, uva, fichi, ciliege, melograni, prugne, tra un po'
noci, olive, pere e mele... dimenticavo i girasoli giganti che danno
nutrimento ad un'infinità di api ed uccelli. In
fondo non mi dispiace essere al cospetto, invece del monte Vulture, del
Rosa e le anime che ti sono care le puoi sentire lo stesso vicine,
indifferentemente dalla distanza in cui sono sepolte le loro spoglie.
Oggi,
però, è una giornata piovosa ed allora ho voluto riprovare a vedere se
sono ancora capace di scrivere, perché oltre ai muscoli, voglio che anche
la mente sia pronta a servirmi nel momento in cui decido di realizzare i
progetti letterari che ho in testa e che, senza affanno, vedranno prima o
poi la luce: ho tante cose da raccontare ancora e, senza sentirmi un
following che vanti di avere schiere di followers, può essere che trovi
ancora qualcuno che provi il gusto di leggermi o, viceversa, che si
arrabbi.
|
||
20 agosto 2016