IL MAESTRO ERA SOLO IN
RITARDO
Non so se la
sirena che una volta, eccetto la domenica e le altre feste
comandate, gridava a Banzi tutti i giorni alcuni minuti prima delle nove, fosse stata acquistata dal podestà
durante l'ultima guerra mondiale, con lo scopo di lanciare l'allarme in caso di avvistamento
di qualche aereo da bombardamento.
Comunque a Banzi non mi risulta che si sia svolto alcun episodio
bellico, né rastrellamenti tedeschi, né fascisti, forse non c'è stato motivo di avere
neppure un partigiano: la guerra s'è avvertita solo indirettamente, per lo spopolamento
degli uomini di giovane età e per la paura di ciò che potesse accadere loro
sui fronti di guerra: Albania, Grecia, Russia, Germania.
E' successo però che un aereo in avaria, o forse colpito dal
nemico, fosse finito col
precipitare proprio nel territorio di Banzi, a qualche chilometro dal paese, e
che esso abbia shockato non poco zio Peppe il postino, che proprio in quel
momento transitava nei paraggi per la consegna della posta presso
qualche masseria della zona.
Altro però non avvenne, sicché, se la torre campanaria è
crollata, non è stato per deflagrazione di alcuna bomba, ma solo per effetto di
una scelta, più o meno improvvida, del sindaco di allora; e, se si vuole trarre motivo di vanto per eventi
storici di guerra svoltisi a Banzi, bisogna andare molto a ritroso, risalire
addirittura all'epoca di Annibale, per poter annoverare l'unica, seppure
abbastanza famosa, battaglia
svoltasi in territorio banzese (anzi Bantino, visto che all'epoca Banzi si
denominava Bantia) nientedimeno che nel 208 a.c., nella quale rimase ucciso il
proconsole romano Marco Claudio Marcello. Per inciso, mi sembra strano che non
sia venuto in mente ancora a nessuno di organizzare annualmente una rievocazione
di tale evento, che potrebbe, così, aggiungersi a quella della venuta del Papa.
Tuttavia, se i rastrellamenti non sono stati fatti dai
tedeschi, è verosimile che essi siano avvenuti da parte di altri nel passato, ad
esempio dalle orde saracene, quando si spingevano a fare le loro incursioni fin
nel nostro paese, o forse allora città.
Tali incursioni sono state certamente
qualcosa di esecrabile, causa di lutti e devastazioni, e tuttavia, se non
ci fossero state, io non sarei potuto essere qua a scrivere questa pagina del
sito - la qual cosa ha certamente scarsissima, anzi nessuna rilevanza - atteso che con ogni
probabilità deve essere stato proprio di origine turca colui che il destino volle
diventasse il
capostipite della mia stirpe.
Risalito, con questa digressione, all'origine della mia
ascendenza, e ritornando ora alla sirena, quale che fosse stato il motivo del
suo acquisto, e chiunque l'avesse fatto, tuttavia, quando la sentivo suonare,
sapevo che mi dovevo precipitare, non nel rifugio antibombardamento, bensì a scuola. Allora
indossavo il mio grembiule nero, infilavo nella cartella il quaderno a righe con
la copertina nera, quello a quadretti pure esso con la copertina nera, un
pezzo di pane con la crosta nera, davo una passata alle scarpe nere con la spazzola
intrisa con la fuliggine della caldaia appesa nel camino, e
mi avviavo a scuola.
Quando il tempo era bello, in attesa che arrivasse il
maestro, si stazionava davanti all'ingresso della scuola sul marciapiede
antistante la torre campanaria. Quando invece era brutto, ci si ammassava
nell'ingresso della scuola, tenuti a bada dal bidello, "Z' Rocc", che
per ammonirci, talvolta faceva vedere di avere anche il bastone da poter usare
all'occorrenza, anche se in modo benevolo e mite, senza nessuna velleità di
imitare la brutalità delle bacchettate dei maestri di allora.
Accadeva però che certe volte, aspetta ed aspetta, il
maestro non arrivasse entro le nove. Tutti a scrutare allora la faccia del
bidello, per avere indicazioni sul da farsi, speranzosi che potessimo sentirci
dire di ritornare a casa. Ma questo verdetto egli stentava a pronunciarlo, e ci
invitava ad aspettare ancora, perché il maestro, prima o poi, sarebbe arrivato. Ed in
effetti ad un certo punto il maestro
lo vedevamo apparire in moto ed allora, come rassegnati ad una
condanna, ci trascinavamo verso l'aula, dove avremmo scontato l'ennesima nostra
mattinata di prigione.
Il maestro, come tutti, non era aduso a recarsi a scuola in
moto (all'epoca il
paese era composto di poche case raccolte e ci si muoveva tutti a piedi, usando
il cavallo, il mulo o l'asino solo per andare in campagna) ma quando era in ritardo,
per recuperare tempo, vi approdava in piazza con essa.
Ma perché il maestro faceva tardi? Era per caso un
dormiglione? Macché! Egli si alzava invece molto presto al mattino, solo che,
da quell'indefesso lavoratore che era, talvolta, o forse spesso, andava prima a
lavorare in campagna. Poteva
succedere allora che non tenesse sotto controllo il tempo e non si accorgesse
che arrivava l'ora della scuola; oppure che doveva terminare l'operazione che stava
facendo, per esempio zappare il solco nella vigna, o qualcos'altro.
Che si alzasse presto e facesse prima qualche lavoro, lo si
arguiva anche dal fatto che, non di rado, nel corso della mattinata,
evidentemente stanco, poggiava la guancia sul palmo della mano e si lasciava
andare a qualche "grufolatina". Io lo scrutavo, avendone un po'
l'impressione dell'orco addormentato delle favole, quindi con una certa
apprensione:
temevo, infatti che, come i bambini che hanno riposato male, potesse svegliarsi
"piccioso", comportando ciò un aumento considerevole della sua
irascibilità e, conseguentemente, della probabilità di scapaccioni gratuiti.
Oltre che una "grufolatina", talvolta egli in
classe sentiva anche il bisogno di fare pulizia
alle orecchie, forse perché impastate da polvere e sudore, ed allora si
procurava un po' di cotone, ne avvolgeva
qualche batuffolo al fiammifero e faceva ben bene toilette. Vedeste che
spettacolo, quando perlustrava il suo ampio padiglione, penetrando cauto in
profondità nella tromba d'Eustachio, ed osservando compiaciuto quanto cambiasse di
colore il batuffolo di cotone, candido prima di fare l'attraversata
dell'orecchio!
Alla pulizia il maestro ci teneva molto, perché l'ho visto
praticarla anche in seguito, quando passava davanti a casa in macchina:puntualmente aveva qualche
falange impegnata a tirare giù stalattiti dalla volta del naso, osservando il
quale mi chiedevo se, ritenere che l'uomo potesse avere quale suo antenato non
solo la scimmia, bensì anche l'elefante, fosse da ritenere un'ipotesi del tutto
azzardata e peregrina.
Quando ho fatto il militare, c'era un commilitone che si
divertiva a far finta di pulirsi il naso col dito medio, perché ce l'aveva
mozzato, dando così l'impressione di ficcarselo per metà dentro. Quel compagno
mi ha fatto sorgere ad un certo punto il dubbio se anche il mio maestro non
avesse per caso qualche falange in meno. Il dubbio però si è subito dileguato,
ricordandomi che quella volta in cui mi diede due ceffoni con entrambe le mani, tutte le
falangi, nessuna esclusa, si
stamparono sul volto.
Quando terminavano le lezioni, sia noi scolari che il maestro
ritornavamo in libertà, a dedicarci a ciò che, forse, gratificava di più: noi a
giocare - prevalentemente a rincorrerci e fare
lotte per strada, oppure "o' picc'l", a pallone, ecc. - lui ad andare a caccia,
oppure a lavorare in campagna.
Nota: Il maestro di questo racconto è puramente immaginario.
(06 maggio 2006)