LE TERRE DI ARISTEO
... un bel "proggetto" fru fru degno del fratello Crozza


Arist...onio

     

Le cose belle sono come quelle buone, assomigliano perciò alle ciliege: vengono a grappoli e l'una tira l'altra.

In queste giornate d'inverno avevo voglia di vedere qualche cosa bella. Sono andato allora a cercare la faccia di Nicola Vertone nel web. Ne ho trovato a grappoli, di immagini e video e me ne sono deliziato: in modo particolare con le interviste ed i messaggi, commoventissimo quello per Teresa (meno male però che la destinataria non era Teresa mia moglie, perché avrebbe pianto senz'altro e ciò mi sarebbe dispiaciuto).

Nel timore che potessero scomparire dal web, ho fatto tempestivamente il download dei relativi file, salvandomeli poi per maggior sicurezza anche su supporti esterni di memoria ed in cloud.

Di siffatte scoperte, una mi è parsa particolarmente preziosa, al punto da adottarla come titolo di questa pagina: l'intervista sulla creazione del distretto turistico rurale denominato "Le Terre di Aristeo".

Improvvisandomi il Don Abbondio dei Promessi Sposi alle prese con Carneade, mi chiederei: "Aristeo! Chi era costui?". Aristeo! questo nome mi par bene d'averlo letto o sentito; doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico: è un nome di quelli; ma chi diavolo era costui?"

Giacché io sono uno che si precipita subito a soccorrere le persone in difficoltà, mi do immediatamente qualche indizio, per aiutarmi a cavar fuori dal pozzo di amnesia in cui sono finito cascato.

Dico allora a me medesimo curato che, come Carneade, anche Aristeo, figlio del dio Apollo e della principessa Cirene, si affacciò sulla Terra prima di Cristo in Cirenaica (Cirene ne è appunto l'eponimo), solo che uno fece poi il filosofo scettico, l'altro diventò una divinità sotto le vestigia del pastore-allevatore-agricoltore; il primo si trasferì ad Atene per fondarvi la Nuova Accademia, l'altro girovagò qua e là, trasferendosi prima in Beozia, successivamente nell'isola di Cos, in Sardegna, in Sicilia, ed infine in Tracia sul monte Emo.

Don Abbondio, avuti ragguagli su Aristeo pescati in Wikipedia, non fregandogliene oltre, si rivolgerebbe immantinente a Perpetua per chiederle a che punto fosse la preparazione della cena.

Un momento signor curato, bisogna colmare le lacune di tale enciclopedia, perché essa non indica che Aristeo andò a diffondere la sua mitologia anche nei 78 comuni lucani che intitolano al suo nome il distretto turistico rurale creato.

Bene! Esclamerebbe conclusivamente e salutandoci Don Abbondio, le terre lucane si prestano "divinamente" alle attività di pastorizia ed agricoltura svolte dal mitologico personaggio greco, esse sono proprio "vocate" naturalmente a tale scopo.

Ed invece?

Nicola Vertone, grazie alla sua intervista, fa sapere che a quelle terre, lui e gli altri settantasette sindaci lucani hanno deciso di cambiargli vocazione, ovverosia di farle diventare "un attrattore turistico".

Sapere che l'assegnazione delle terre ad Aristeo è fatta solo per un virtuale  cambio di vocazione è per me motivo di sollievo, perché altrimenti immagino che i miei ex latifondisti dirimpettai avrebbero anche potuto, non solo adontarsi, arrabbiarsi assaissimo, se gli fossero state sottratte le loro terre.

Del resto, uno di loro è a fianco del sindaco fin dal 2004, condivide sicuramente ogni decisione di Vertone ed avrà tranquillizzato in anticipo la famiglia che si tratta solo di una balla metaforica, di un surrettizio brand, inventato per calamitare orde di stupidi turisti (così pensano siano essi i 78 sindaci lucani), ma soprattutto per sbafarsi intorno a due centinaia di milioni di euro, fra l'altro, "chi più ne ha più ne metta" ... per aprire o ristrutturare bar.

Insomma, non un progetto finalizzato a far ritornare a pascolare sulle terre lucane greggi di pecore e capre, mandrie di buoi, a far aprire stalle, ovili e stazzi come realmente faceva Aristeo (di recente ho visto l'intervista ad un francese che era ritornato ad allevare buoi, dichiarando che non c'era altro modo per affrontare la crisi economica e riuscire a campare). 

Non un progetto, che proponga di allevare maiali, per ricavarci le apprezzate salsicce e soppressate lucane. Mio nonno materno di Genzano di Lucania, Antonio Teto, detto appunto il porcaro (quanto sono fiero dell'epiteto che lo contraddistingueva!), appena l'altro ieri, lo faceva egregiamente, venendo a vendere alla fiera di Banzi decine di maiali da ingrassare. Per inciso, ciò sarebbe anche più facile, perché è schiattato quel mariuolo del mio paese, che si glorificava di essere andato a rubare a mio nonno delle scrofe: pensò di esaltarsi andando a raccontarlo anche ad Haltingen, senza sapere che tra i presenti c'era mio zio, figlio di mio nonno, che lo riferì allo chef e questi gli fece avere il foglio di via in quanto soggetto indesiderato, facendo avere la stessa sorte anche al figlio di quel mariolo.

Un progetto, invece, che vuole assomgliare ad un piccolo terremoto, come quello dell'Irpinia del 23 novembre 1980, senza però rovina di case, solo di finanza pubblica (finanche a Banzi, estrema periferia dell'epicentro tellurico, una persona di mia conoscenza si vantava che, grazie al terremoto, aveva trasformato il suo casone di campagna in una villetta e ci fu, se non ricordo male, qualche strascico giudiziario collegato all'attività di favoritismo per l'arraffamento di contributi).

Si tratta solo di una trovata che vuole assomigliare alla pensata di un agricoltore in un aneddoto che ho sentito spesso raccontare a Banzi. 

Egli, arando il suo campo col mulo, si accorge ad un certo punto che il vomero non c'era più, finito seppellito chissà dove. 

Che fa allora?

Si rivolge a Sant'Isidoro, protettore degli agricoltori (grazie a Sapio ho scoperto che nel mio paese è dedicata a lui una chiesa di campagna, sebbene ora diventata un rudere dissimulato dalle ortiche), promettendogli che, se avesse fatto il miracolo di farglielo ritrovare, per ringraziamento avrebbe portato un vomero d'oro al Santo.

Sentita siffatta esagerata promessa, il figlio dell'agricoltore guarda in faccia il padre e gli osserva: ma se non abbiamo i soldi per comperarne uno di ferro, come fai a regalare un vomero d'oro a Sant'Isidoro?

Al che il padre, avvicinandosi all'orecchio del figlio, lo redarguisce minaccioso: sta' zitto che così l'ho fregato un'altra volta.

Chiuso il simpatico racconto, io però non sarei così riduttivo, cioè che si tratti di una balla, penso invece che Vertone & company abbiano concepito un bel "proggetto" fru fru, che giunge peraltro al momento giusto, visto che l'inventore di tale specialità di biscotti, Armin Loacker, è recentemente defunto e può essere proprio il distretto rurale lucano a succedere nella produzione dei fru fru.

Certo, come ha dichiarato Vertone, "Il lavoro è enorme".

Perché qui si tratta di ricreare l'atmosfera mitologica di tempi remotissimi, di animare le terre lucane di dei, driadi, ed amadriadi, satiri, e fauni.

Chi è disposta poi a fare la parte di Euridice, sapendo che dovrà immolarsi col morso della vipera, mentre corre per sottrarsi alle voglie di Aristeo? E di quel povero Orfeo che ne rimase vedovo?

Occorre poi essere bravi a saper celebrare i misteri eleusini, orifici e dionisiaci. Fosse stato ancora vivo padre Dionisio, ci avrebbe almeno aiutato in questi ultimi!

Ed i periegeti? Dove vai a pescarli quanti ne necessitano per guidare le centinaia di migliaia di turisti nella visita dello sterminato numero di templi e monumenti che insistono sulle terre di Aristeo?

Necessitano poi mandrie di buoi da sacrificare volta per volta che ai turisti si voglia far capire cosa sia e come avvenga la bugonia, e di buoi in Lucania non ne trovi più neppure uno.

 

Non so perché quando uno diventa sindaco deve smarrire il senso della realtà.

E' facendo ricorso truffaldino (Aristeo non risulta aver mai avuto a che fare con la Lucania) alla mitologia greca che si pensa di risollevare le sorti delle terre lucane, di arrestarne il declino inesorabile, economico, sociale, demografico?

Banzi aveva 2531 abitanti nel 1951, l'anno che i censimenti danno più popoloso degli ultimi decenni: io, anzi i miei genitori, avevano dato il loro contributo a quel primato.

Ne sono rimasti ora 1322, probabilmente anche con dei residenti fasulli, come ho avuto modo di appurare con uno stimatissimo Tizio che, pur trasferitosi in Lombardia da tempo immemore, nel 2006 risultava ancora risiedere in via Garibaldi, affrancandosi così dal pagare l'ICI - IMU, obbligati a farlo invece tutti gli altri fessi.

Un'abitudine, questa di farla franca, inveterata in certi furbacchioni e che persiste anche nel primo cittadino, se, come dichiara nell'intervista sopra citata, aspira a far diventare "zona franca" le terre di Aristeo: tranquillo signor sindaco, le risorse finanziarie te le procuriamo dal nord noi figli dei gastarbeiter che abitarono una volta le terre divenute ora di Aristeo. Se non ti bastano quelle che introiti con IMU e TASI applicate sulle case rimaste deserte, ci sottoponiamo ad un'addizionale supplementare all'IRPEF (potrebbe essere denominata "addizionale Aristeo"), paghiamo una tassa tutte le volte che pensiamo al nostro paese.

Invece di ficcare la testa come uno struzzo nella mitologia greca, che poco ci azzecca con la Lucania, per fuggire dalla realtà e concepire pindariche illusioni, ben avresti fatto, caro sindaco, a prendere spunto dalla vera storia recente del paese che amministri da quindici anni.

Le nostre terre, anziché darle in appartenenza metaforico-mitologica ad Aristeo, avresti dovuto darle a coloro che, con i loro sacrifici (e di tutte le loro famiglie) hanno portato il benessere, di cui sta godendo ancora lo sparuto numero di furbi-opportunisti rimasti in paese.

Pertanto, reputo che sarebbe stato assai più azzeccato e niente affatto surreale dire quelle terre essere dei "gastarbeiter", l'esercito di "ospiti del lavoro" in Germania che, per una quindicini d'anni tra il 60/70, inondarono di rimesse il paese, trasformandolo in un cantiere unico, facendo sorgere come funghi una miriade di negozi e bar, affluire fiumi di denaro all'ufficio postale, al Banco di Napoli e Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania.

Se non ti fosse piaciuta quell'espressione tedesca, avresti potuto usare anche la denominazione "Terre dei Babbi Natale", precisando però che tali debbono essere intesi non quelli che portano ridondanti (ed a volte anche stupidi) regali ai bambini, bensì i nostri babbi che vedevamo solo una volta all'anno a Natale.

Un sindaco che conosca la storia del suo paese e la volesse rispettare ed onorare, farebbe realizzare un bel monumento in piazza a ricordo dei "Gastarbeiter", o, se più piace, dei "Babbi Natale".

In una piazza in riva al mare a Cesenatico, denominata "Piazza Spose dei Marinai", spicca un monumento loro dedicato, raffigurante una mamma con due figli che scrutano trepidanti il mare lontano, per avvistare la barca del loro marito/padre.

Perché non cambiare denominazione alla piazza Gianturco, che non dice niente (al punto che il correttore automatico di word la cambia puntualmente in "granturco"), sostituendola con "Piazza Spose dei Gastarbeiter", allo scopo di conservare ed onorare la memoria della grande sofferenza patita come vedove bianche per tanti anni, per ricordare ai posteri "di che lacrime grondi e di che sangue" l'effimero benessere arrivato al nostro paese?

E'  una proposta eretica che sto facendo?

Sì, perché non si vuole rinunciare all'illusione di continuare a vivere nell'opulenza e nel mondo dei balocchi, all'idea che debba esserci sempre qualcuno che faccia arrivare la manna dal cielo.

Finché poi non succede, come a Riace, che per ripopolare il paese si prendano dei naufraghi in cerca anche loro del benessere italiano; oppure, come ad esempio a Sambuca di Sicilia, non si mettano in vendita al prezzo di un solo euro le case rimaste deserte.

Potrebbe succedere in un futuro non remoto anche a Banzi, che il pinco palla di sindaco di turno  metta in atto siffatte iniziative, caso mai contemporaneamente entrambe, non foss'altro per avere qualcuno che giustifichi la necessità della sua carica.

Se, invece, anche tali iniziative dovessero non avere successo ed il paese rimanere totalmente disabitato, nessun problema, risusciterebbero dalla mitologia greca Aristeo & company per andare a coltivare le terre, pascolare greggi, allevare api... cazzo però ciò vorrebbe dire che Nicola Vertone aveva ragione che le terre di Banzi erano di quel deo pastore!

Dato che oggi è il 27 gennaio, ho scritto questa pagina per onorare a mio modo il giorno della memoria, ricordando un po' di storia che appartiene a me ed al mio paese natio.

Qualcuno può obiettare che non si tratta di storia ma di una sceneggiatura che si presta ad essere interpretata dal fratello Crozza.

Accolgo allora l'obiezione e sottopongo questo scritto all'attenzione di Maurizio: non si sa mai che "Le Terre di Aristeo" non diventino almeno un divertente sketch-parodia.

"Chi più ne ha più ne metta", dice Vertone nell'intervista sulle "Terre di Aristeo", il cui "proggetto", ammette lui medesimo, è una scommessa.

Se egli è abituato a puntare sempre "doppio", su quella scommessa invece io non ci metterei neppure un cent.

 

Ed io che, a sentire nominare Aristeo, immaginavo una sorta di avvento d'arcadia in Lucania, ed ero già pronto a suggerire una poesia dell'omonimo genero letterario per farne la celebrazione!

Nonostante la delusione, quella poesia mi piace comunque riportarla come degna conclusione di questa pagina, per fare un doveroso omaggio al poeta che ne è l'autore, Antonio Sapio, dal cui sito la prendo a prestito (questo ne è il link http://www.banzi-bysapio.net/addo.htm 

Addoh nascj Vanzudd ("Fons Bandusiae")

Stizz a stizz scenn da indè prét sabbiòs,
stizz a stizz, sott a la rip d' Carnvàl,
s'accoglje facj na tonz l'acqua fresc'k,
ca cantava cudd d' V'nòs.

Cchjù facj caud e cchjù fresc'k enz do cannàl,
chian chian camina, a pick a pick s' ngròs
e scorr mminz e prét bianc e nér ca trov
p la strad: ié l'acqua d la rip d Carnvàl.

Racanedda (1), i uarrickji vacànt
attaccàt o mast, scenn da Chian d Rjis,
paparann d'acqua pulita li egnji
e tonga tonga torn a la còd appìs.

I Cilumbridd i ppecur pascjn
Ncàp e cost; mangjin l'erva ass'ccàt,
i ccjcuriedd e i catìll; i can
de la massrjia fann cumpagnjia.

A ll'òr d la canjcula, o frisc'k
d la rjp vann a ddorm: i ccjcàl cant'n,
i ssirp fann l'amòr, u pastòr s r'pòs
v'cin a funtàn d'Orazio d V'nòs.

(1) Nome dell'asino che possedeva Sebastiano, nonno di Antonio Sapio.

 

27 gennaio 2019  

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