OSPEDALE SAN CARLO DI
POTENZA
...una settimana ospite e non vuoi essere più un
lucano
Mercoledì 5
gennaio 2005, dopo una nottata di apprensione, mia sorella rompe gli indugi e
ricovera all'ospedale San Carlo di Potenza nostro padre, per non rischiare
l'attesa del lunedì; ed alla sera dello stesso giorno, da Varese, mi metto in
viaggio per il capoluogo lucano per andare a prestare assistenza a mio padre.
Alle ore 7,50 del giorno dell'Epifania, dopo poco più di 12
ore di viaggio, scendo dal treno a gasolio - preso a Foggia due ore prima - alla
stazione "Macchia Romana" di Potenza: percorsi all'incirca un
centinaio di metri, faccio ingresso all'ospedale.
Vi mancavo esattamente da cinque anni, quando assistetti
ancora mio padre, che, ricoverato per un intervento di cateratte agli occhi,
finì invece per essere operato per l'applicazione di un pace maker,
sicché l'ingresso nel nuovo millennio mi vide impegnato in questo bisogno e la
mezzanotte del 31 dicembre 1999 mi ritrovai completamente solo e triste a casa a
Banzi, perché il primario dell'UTIC non mi consentì di rimanere oltre in
ospedale.
Questa volta invece mio padre, 93 anni compiuti ad
ottobre scorso, veniva ricoverato non per essere sottoposto ad interventi
chirurgici, bensì perché stava male: insufficienza renale, respiratoria e
cardiaca.
Con una certa ansia mi dirigo al reparto di cardiologia
medica, temendo che nella notte potesse essere successo qualcosa. In effetti era
successo qualcosa, ma a mio cognato che l'aveva assistito, che si è sentito
male ed è finito al pronto soccorso, mentre mio padre, con i lamenti che
emetteva - "mamma mej", "Madonna mej" - oltre ad
agevolarmi il compito d'individuare la stanza dove si trovava ricoverato,
paradossalmente mi sollevò anche lo spirito, facendomi capire che era vivo e
neppure in condizioni critiche.
Così m'insedio in ospedale per assisterlo, e vi rimango una
settimana esatta, ripartendo la sera del mercoledì successivo, avendo modo di
osservare con calma l'ambiente ed il modo di funzionamento del nosocomio.
L'impressione che ne ricevo non suscita proprio entusiasmo ed
ammirazione. A cominciare dall'estetica dell'ingresso in reparto, la cui vetrata
è piena zeppa di fogli, perlopiù scritti a mano, riportanti avvisi disparati,
che vengono sostituiti evidentemente in continuazione, dal momento che rimangono
visibili tutte le tracce della colla dello scotch col quale sono attaccati, che
offendono così la vista.
La pulizia lascia alquanto a desiderare, sebbene un
addetto/addetta passi al mattino ed al pomeriggio per le stanze: i gabinetti
rimangono sporchi di ragnatele e chiazze di bagnato per terra, di cui molti
schizzi di pipì lasciati dai ricoverati anziani, e l'addetto/addetta si limita
perlopiù a pulire dove non è sporco, ed a vuotare il cestino.
Il pomeriggio del 12 gennaio seguo da presso le operazioni di
pulizia dell'addetta e, vedendo che la signora entra nel gabinetto ed esce un
attimo dopo, scaricando semplicemente l'acqua nel water, la redarguisco,
invitandola ad eseguire la pulizia per terra. Lo fa con insofferenza, ma dopo
vengo redarguito anch'io, a mia volta, da un infermiere perché non ero
autorizzato a riprendere la signora, avendo dovuto limitarmi solo a fare la
segnalazione del disservizio alla caposala l'indomani mattina. Ma non avevo il
tempo di poterlo fare, perché sarei partito alla sera. E poi: come mai, se il
compito di vigilare sull'effettuazione della pulizia era di spettanza della
caposala, lei lasciava andare così le cose?
Per fortuna non si vedeva fumare nessuno in reparto, ma
l'odore del fumo arrivava lo stesso (insieme al freddo) dal fondo del corridoio,
dove qualcuno (non saprei dire se personale dell'ospedale od ospiti) andava a
fumare di nascosto, lasciando tracce di mozziconi per terra.
E debbo intervenire ancora, sempre il giorno 12 intorno alle
sei del mattino, anche per riprendere un'infermiera che nell'atrio urlava
bisticciando con una sua collega, noncurante del disturbo che arrecava al riposo
degli ammalati. La stessa, non aveva addosso il cartellino di riconoscimento, le
chiedo come si chiamasse e, in modo arrogante, per tutta risposta telefona alla
dottoressa che stava in una stanza là vicino per farsi spalleggiare ed
intimorirmi. La stessa viene fuori, assonnata, e le faccio presente che era
inconcepibile il comportamento tenuto dalle infermiere e lo spettacolo squallido
che stavano offrendo: mi dice che avevo ragione. Ed io, indignato, controbatto:
"allora intervenga a sedare la rissa!"
La dottoressa rimane lì lì interdetta, ma dopo si riprende
e, probabilmente preoccupata che avevo minacciato di denunciare all'URP (Ufficio
Relazioni con il Pubblico) quanto accaduto, mi convoca stizzita nello studio e
cerca di intimorirmi contestandomi il fatto che non avevo il permesso scritto
per assistere mio padre. Pertanto, mi dice che lei non poteva assumere alcuna
iniziativa nei confronti delle infermiere per quanto accaduto, che
peraltro - sostiene - non avevano arrecato disturbo a nessun altro che a me, dal
momento che lei stessa, lì vicino, non s'era accorta di niente!
Ma il vizio di fare brutte esibizioni al cospetto degli
ammalati non era solo delle infermiere, bensì veniva dall'alto: dal primario,
che quando girava per le visite nelle stanze lasciava allibiti gli ammalati per
come bistrattava gli altri medici, che riprendeva con tono forte ed aspro per
affermare la propria superiorità, umiliandoli così davanti a loro ed incutendo
nel contempo soggezione e paura negli stessi pazienti, che incontravano
sicuramente difficoltà a rivolgergli delle domande sul loro stato di salute.
Io stesso ho provato un certo disagio nel rapportarmi sia col
primario che con gli altri medici, i quali mostravano una scarsa disponibilità
ad ascoltarti, e sembravano essere pervasi da un diffuso sentimento di accidia:
quando ti rivolgevi loro, la risposta era molto spesso che non potevano darti
retta al momento perché erano impegnati.
Durante l'orario delle visite un tizio s'intrufola per le
stanze a spacciare calendari con l'immagine di Padre Pio: chiedo alla dottoressa
di turno d'impedire che tale soggetto circolasse tra gli ammalati ed
approfittasse della particolare loro situazione per spillare soldi: mi risponde
che aveva altro da fare. Allora mi metto a pedinare io quel lestofante,
invitandolo ad andare via.
In compenso al mattino ci sono nei corridoi dell'ospedale
delle specie di hostess che danno indicazioni sui percorsi da fare per
raggiungere ambulatori e reparti. Qualcuno sussurra che le ha fatte
assumere un certo prete che ha molto potere in ospedale, il quale aveva anche la
gestione del bar, ora acquisita, a seguito di gara pubblica, nientedimeno che da
Berlusconi junior.
Ed ancora in compenso, sulla vetrata dell'accettazione
amministrativa campeggia - del tutto fuori luogo - una fotocopia di un articolo
di giornale, a firma di Nino Grasso, con un titolone: "Colpo grosso
dell'Ospedale San Carlo: il Direttore Generale Michele Cannavaro sottrae
all'ospedale San Giovanni Rotondo il cardiochirurgo Sergio Caparrotti che sarà
il nuovo primario al posto di Minale"... facendo così la barba a Padre
Pio.
Anche quest'ultima cosa mi ha suscitato alquanto disappunto
ed avrei voluto farla oggetto di protesta all'URP, ma ho desistito, sia per non
lasciare inaccudito mio padre, sia perché ho avuto la convinzione
dell'inutilità dell'andarci, a parte poi la difficoltà di individuare dove si
trovasse l'ufficio (ma questa sarebbe stata superata, perché avrebbe costituito
un buon pretesto per farmi accompagnare dalla bionda hostess).
Del resto, il responsabile dell'URP ero andato a trovarlo,
per mera curiosità, cinque anni prima: poveraccio sembrava in castigo ed aveva a
malapena una macchina da scrivere meccanica di non so quanti anni vecchia.
Scommetto che prima di me non era andato a trovarlo mai nessuno! E forse neppure
dopo! Non so se l'ufficio sia stato attrezzato nel frattempo: in caso positivo,
ed avesse ora il computer ed internet, può attingere da questa fonte quanto gli
avrei segnalato di persona.
Leggo che il San Carlo è un "Ospedale di Rilievo
Nazionale e di Alta Specializzazione": mi chiedo come sarebbe stato se non
avesse avuto tale qualifica! Certo la dotazione tecnica può anche essere
all'avanguardia ed i medici e gli infermieri bravi, ma ciò che ho
constatato induce a sperare di non avere mai più a che fare con persone che
hanno un siffatto comportamento ed approccio con gli ammalati ed i loro parenti.
Ed inoltre, a me, induce a tenere anche distinta la poesia,
che mi porto dentro della terra lucana, dalla realtà del suo ambiente sociale,
nel quale mi ci ritrovo assai poco, se non affatto.
Forse debbo disilludermi e rivedere "i progetti dei miei
sogni futuri", potendo essere anche bello, anziché ritornare alla "Fons
Bandusiae", rimanere a Varese, e trascorrere gli anni della tarda
età a passeggiare ai Giardini Estensi o sul viale del Sacro Monte (divenuto
l'anno scorso "patrimonio dell'umanità", non importa se capita di
incontrare qualche "guardia padana" di Bossi vestita di verde), oppure
in riva al lago, portando per mano qualche nipotino.
E con la tranquillità, inoltre, in caso di bisogno, di poter
andare in un ospedale dove si possa parlare senza timore con i medici, i quali
non diano l'impressione di stare a lavorare per sé, bensì per gli ammalati;
dove gli infermieri non bisticciano tra di loro (o perlomeno non lo facciano
platealmente in pubblico); dove non debba adoperarmi io a pulire lo sporco nei
servizi igienici; dove medici ed infermieri operano con cortesia in modo
naturale e spontaneo e non siano pervasi dall'accidia... perché se il paziente
per andare all'ospedale glielo deve perlopiù prescrivere il medico, i medici e
gli infermieri non sono mica obbligati a fare quel lavoro, se non sono portati a
farlo.
Ma forse la ragione vera sta nel fatto che il famoso romanzo
di Carlo Levi racconta di una civiltà lucana che appartiene ad un'epoca che non
è ancora del tutto passata!
Con quanto detto sopra, non voglio tuttavia fare di tutta
l'erba un fascio, e sicuramente conserverò un bel ricordo di alcune infermiere
(ma anche infermieri) che si prodigavano con gentilezza e generosità, come
Margherita (la quale aveva forse dei modi diversi perché aveva avuto esperienza
all'ospedale Sant'Orsola di Bologna), Angela, Giovanna (che una notte, mentre
giacevo su una panchina, ha avuto la sensibilità umana di mettermi a
disposizione un lettino libero nel corridoio, anche se ho dovuto continuare a
fare la spola in stanza per tenere sotto controllo mio padre).
Ma non voglio dimenticare nemmeno l'infermiere Vincenzo,
conosciuto cinque anni prima, per quanto egli porti il cognome Mecca.
17 gennaio 2005
APPENDICE 1-
Martedì 6
settembre 2005 sono ritornato a Potenza per acquisire i documenti necessari per
la pratica di successione: il de cuius era ovviamente mio padre, il quale alla
fine non ha avuto più bisogno di ritornare all'Ospedale San Carlo, passando al
sonno dell'eterno riposo poco prima che arrivasse l'alba del 2 maggio.
Dovevo prendere il pullman per ritornare a Banzi e, non
conoscendo il percorso che faceva nel capoluogo, per esserne sicuro, sono andato
alla fermata dell'Ospedale San Carlo, l'unica a me nota.
Per ingannare l'attesa, ho gironzolato nell'atrio
dell'ospedale, tra il via vai delle persone, ed anche delle hostess citate
sopra, incrociando in particolare la bionda Gianna Miccolis, che ho salutato,
chiedendole se si ricordasse ancora di me.
Vedo, alquanto stupito, che mi riconosce ancora, per
via della chiacchierata che avevo fatto insieme a gennaio, ma forse anche per
essere autore di questa pagina, che mi riferisce di aver visto, scoperta e fatta
circolare da
qualche medico ivi prestante servizio.
Nel girovagare, noto che sulla vetrata dell'accettazione
amministrativa campeggiava ancora, seppure alquanto ingiallita, la fotocopia dell'articolo
di giornale, a firma di Nino Grasso, dal titolo: "Colpo grosso
dell'Ospedale San Carlo: il Direttore Generale Michele Cannavaro sottrae
all'ospedale San Giovanni Rotondo il cardiochirurgo Sergio Caparrotti che sarà
il nuovo primario al posto di Minale".
Non so se tale fotocopia sia rimasta là per pura negligente
inerzia, od invece per disposizione del Direttore Generale, quasi a dimostrazione
che ciò che possa rilevare uno come me gli scivola via nella totale
indifferenza, non procurandogli il minimo turbamento, ovvero per far sì che,
prima o poi, tutti coloro che fanno ingresso al San Carlo, non esclusi quei montanari che scendono a
Potenza ancora col vestito di velluto, riescano ad afferrare il
senso del messaggio contenuto nell'articolo, sì da rimanere ammirati della
superba sua capacità e potenza... se è riuscito addirittura a fare la barba a
Padre Pio.
Per me sarà verosimilmente l'ultima volta che abbia messo
piede in quell'ospedale, ma non vorrei ritrovarmi, in vacanza a
Banzi, ad avere bisogno di un ricovero d'urgenza, per qualche scompenso
cardiaco: forse il cuore potrebbe bloccarsi del tutto, ritrovandomi al cospetto
del primario di cardiologia medica.
Perciò, ho cercato di salutare l'hostess Gianna, non con un
saluto di arrivederci, bensì di addio... pur dispiacendomene ciò quasi un po'.
01 ottobre 2005