PRIMO, DIRITTO DI dire LA VERITà
... ultimo, di non essere
diffamati
Io
non mi annovero certamente tra i fans o followers di Beppe Grillo,
quantunque alle ultime elezioni politiche - solo per la Camera - abbia
votato Movimento 5 Stelle (M5S). Ciò
non toglie che talune cose condivisibili il comico genovese le dica. Tra
queste ciò che ha scritto a proposito del reato di vilipendio del
Presidente della Repubblica, contemplato dall'art. 278 del codice penale -
detto Codice Rocco dal nome dell'allora ministro guardasigilli fascista,
pubblicato con Regio Decreto n. 1398 il lontano 19 ottobre 1930, - il
quale recita che "Chiunque offende l'onore o il prestigio del
Presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da uno a cinque
anni". In
questa fattispecie di reato, ad avviso di Grillo, e sommessamente anche
mio, in quanto il giudice investito di decidere se sia stata superata
l'evanescente linea di discrimine oltre la quale la critica (un atto
legittimo) al Primo Cittadino si trasforma in vilipendio (un atto
criminale), è come se dovesse stabilire di che sesso siano gli angeli,
la qual cosa non può non non essere ritenuta (così l'ha giudicata anche
lo stesso Presidente Napolitano) “ambigua e pericolosa”. Il
post di Grillo, per la prima volta senza possibilità di commento, era
stato originato dalla diffusione della notizia che ventidue persone
venivano indagate dalla Procura di Nocera Inferiore per "Offesa
all’onore e al prestigio del presidente della Repubblica",
reato per il quale il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri aveva già
concesso l'autorizzazione a procedere. Quale conclusione abbia avuto
l'iniziativa giudiziaria suddetta, ovverosia se gli indagati siano stati
assolti o condannati, lo ignoro. Certamente
essi si saranno sentiti in ogni caso colpiti da una sventura,
probabilmente la peggiore della loro vita, per via dello stress e della
montagna di soldi cui avranno dovuto far fronte per difendersi,
considerato che avranno avuto bisogno di un pool di avvocati di grido, in
grado di spaccare il capello a quattro, per dimostrare l'infondatezza
dell'offesa nientedimeno che al Capo dello Stato, e giacché gli imputati
non saranno ricchi come Berlusconi, praticamente sono rovinati. Invece
che vilipendio si chiama "diffamazione", ma non cessa di
essere pure essa un delitto la fattispecie prevista dall'art. 595
del codice penale, per la quale "Chiunque, comunicando con più
persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a
un anno o con la multa fino a euro 1032. Se l'offesa consiste
nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione
fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2065. Se l'offesa è
recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità,
ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre
anni o della multa non inferiore ad euro 516". Cambiano
i termini ma la portata fumosa della figura criminosa rimane tale e quale,
anzi assume connotati quanto mai pericolosi ed ambigui. Infatti,
se si riflette un attimo, l'ipotesi di reato di diffamazione potrebbe
produrre l'effetto parossistico di far rimanere impigliate nella ragnatela
della giustizia milioni di persone, come imputati o parti offese, se solo
si analizzasse lo tsunami di messaggi che inonda i tantissimi blog: volete
che in quasi ognuno di essi non ci sia qualche parola
"offensiva" della reputazione di qualcuno? Praticamente
l'Italia potrebbe rimanere paralizzata, perché la maggior parte dei
cittadini è esposta al potenziale rischio di essere impegnata a fare
sedute presso studi legali, a presenziare ai dibattimenti in aule di
giustizia, saremmo cioè imbrigliati come pulcini nella stoppia, senza
possibilità di andare a lavorare regolarmente, in vacanza liberamente,
costretti peraltro anche a spostarci da una parte all'altra dell'Italia, a
seconda della competenza territoriale del giudice che sta procedendo per
il reato che ci riguarda. La
maggiore pericolosità ed ambiguità del reato di diffamazione sta nel
fatto che uno pensi essere legittimo scrivere qualcosa sul conto di una
persona, se ciò che scrive è vero e dimostrabile. Invece non è così:
l'essere vero e dimostrabile ciò che hai scritto diventa addirittura
un'aggravante del reato, il che non può non costituire un qualcosa di
assurdo, una mostruosa aberrazione. Ad
esempio, se tu, vedendo mentre passa davanti a casa tua una persona che
sputa sul marciapiede, dovessi postare su un blog un messaggio in cui
semplicemente riferisci ciò che fa costui, a mente dell'art. 595 del
codice penale puoi essere querelato per diffamazione perché, raccontando
l'accaduto, è come se dessi dell'incivile a quella persona, perciò ne
offendi la reputazione, anche se essa incivile lo è per davvero, giacché
ogni volta che passa ti fa rivoltare lo stomaco dal disgusto. Ancora,
se scrivi che Totò Riina è un mafioso, per quanto ciò sia indubitabile,
tant'è che si trova in carcere proprio per tale ragione, corri lo stesso
il rischio di beccarti una querela per diffamazione, perché egli potrebbe
invocare quello che si chiama diritto all'oblio, cioè a far sì che siano
dimenticati i suoi misfatti in modo da potersi ricostruire una specie di
verginità morale che gli consenta il reinserimento nella società quando
sarà uscito dalla prigione. In
quasi tutti gli ordinamenti giuridici non si ha diffamazione, se quanto
asserito non è falso e spetta all'accusa dimostrare la falsità. Il
contrario è una stramberia della legislazione italiana: qui solo se te lo
consente la parte offesa, sei ammesso a discolparti, dimostrando la verità
di quanto ritenuto diffamatorio. Il
corollario diventa che la querela per diffamazione è alla
portata di chicchessia, può essere usata come uno strumento
intimidatorio, alla stregua di quelli mafiosi, per intimorirti e tapparti
la bocca, col risultato che la giustizia italiana mentre non è in grado o
fatica a proteggere la vita di persone realmente in pericolo, malmenate di
botte e non di rado ammazzate, viceversa può essere costretta ad
impiegare un profluvio di forze, di energia e di tempo per perseguitare
chi esercita un sacrosanto diritto di critica, l'insopprimibile bisogno di
raccontare le cose che vede intorno a sé, gli accadimenti della propria
vita, chi ritiene non essere "la storia siamo noi" solo
un titolo di trasmissione televisiva. Allora,
dato che giudicare se sussista o meno la diffamazione in uno scritto è
come misurare la superficie in un campo delle cento pertiche, devi sperare
di non imbatterti in un magistrato che possa spingersi a ritenere
diffamatorio anche l'aver solo omesso di usare parole riguardose nei
confronti di una persona. Ma
il paradosso del paradosso è che alla fine, spesso e volentieri,
interviene la prescrizione che butta al macero tutta una montagna di
lavoro svolto, di risorse impiegate... talvolta per fortuna del
malcapitato! Ergo,
la giustizia può essere ritenuta una cosa inutile, dannosa e rovinosa
alla pari della guerra e sarebbe auspicabile adottare una soluzione simile
a quella del Costa Rica, Stato unico al mondo in cui le forze armate sono
state abolite: sopprimere l'intera magistratura; sapendo che non ci sono
giudici, la gente evita di bisticciare così come non può fare la guerra
senza forze armate. Se
ci fosse uno Stato senza soldati, carabinieri, poliziotti e giudici, ne
chiederei subito la cittadinanza, perché vorrebbe significare che lì
regna la pace, l'armonia, il bene, l'amore, la felicità. Questa
pagina ha avuto tratto lo spunto dall'essermi imbattuto nella pubblicità
di un libro titolato "Primo, non diffamare", un comandamento però
che trovo inappropriato in quella posizione, perché io ritengo che per
primo venga il diritto di raccontare, per ultimo quello di non essere
diffamati, soprattutto se la pubblica manifestazione di pensiero non è
calunniosa, non è falsa. Non
intendo invece, adesso qui, soffermarmi sulla personale vicenda della
mitragliata di querele che mi è stata sparata addosso da un plotone,
capitanato da una preside e composto da un maestro-direttore didattico,
un'altra maestra ed un ultimo non so che cosa, aggressione giudiziaria
conclusasi con sollievo per me il 16 ottobre scorso presso il tribunale di
Varese. Posso
solo dire che di questa storia ne tratterrò diffusamente nel libro che da
tempo mi ero ripromesso di scrivere (e che a questo punto diventa per me
un imperativo), in cui mi prenderò il gusto di tratteggiare personaggi
col nome di Garibaldi... anche al femminile. E aggiungere che l'occasione
è stata propizia per rivedere il mio maestro attraverso due sue figlie
presenti: la preside primogenita ne aveva la cera, l'altra sorella il
naso. Penso
non sia mai accaduto fin qui, non solo al mio paese Banzi, o in Provincia
di Potenza, od in Regione Basilicata, od in Italia, bensì nel mondo
intero che un maestro querelasse un suo alunno per qualche pagina di amena
letteratura, scritta, senza più soggezione e con spirito
ironico-critico, all'unico scopo di conservare alla memoria ricordi e
sensazioni dei giorni trascorsi in classe insieme a lui, obbedendo
esclusivamente al bisogno di raccontare la verità e purgare, anche in tal
modo, certi incubi vissuti nell'infanzia. Spero
maestro che per essere ammesso in paradiso non abbia bisogno proprio della
misericordia di quell'alunno, perché temo che, dopo l'ultima lectio
magistralis avuta da te, egli non te la possa concedere più. Non
posso non dare atto, a distanza di quasi dieci anni, che si comportò da
gran signore un sindaco non confermato nel secondo mandato, allorché
pubblicai nel mio sito web (allora www.carcuro.com) una pagina divertita a commento del suo
insuccesso elettorale: mandò giù la mia ironia senza battere ciglio. Tutto
sommato non è che fosse poi un sindaco peggiore degli altri, avrà avuto
solo qualche neo ... non sulla faccia. Qualcuno - che non è da escludere
essersi adoperato a fomentare anche le querele nei miei confronti - ha
tramato perfidamente di stroncarlo politicamente per via giudiziaria con
delazioni anonime, l'unico modo per farlo fuori, almeno temporaneamente,
in modo che certi clan familiari non avessero concorrenti combattivi
nella conquista del potere e potessero fare man bassa di ogni posto da
ricoprire. Però,
caso mai, egli a maggio prossimo potrebbe (ri)avere i requisiti richiesti
e rifarsi della cocente sconfitta di dieci anni fa, per quanto ci possa
essere chi, accampando meriti speciali per aver esposto madonne, si senta
già in pole position per varcare la porta del gabinetto del
sindaco. Oggi,
mentre passeggiavo in una strada nel paese di mia suocera, mi sono
soffermato ad ammirare una villetta che si distingueva particolarmente per
l'estro, messo in opera da chi ci abita. Egli è apparso all'improvviso in
giardino. Mi ci sono avvicinato dicendogli: "Senta, io debbo pagarle
il biglietto per lo spettacolo offerto dalla sua casa". Apprezzando
la mia battuta complimentosa, siamo rimasti a conversare per un po'. Dalla
porta aperta giungevano note di musica classica. Gli ho fatto allora
l'elenco dei tanti compositori classici che amo ascoltare, con Schubert il
mio prediletto. Ho
dovuto dirgli cosa facessi nella vita, perché "si capisce subito che
lei è una persona colta, anche se nello stesso tempo umile" mi ha
detto. Lui
aveva fatto invece solo la terza elementare! E'
la sensibilità d'animo ciò che conta, gli ho replicato, aggiungendo che
"la forma più elevata d'intelligenza umana è la bontà" ...
forse anche l'umiltà. Ritornando
poi a casa e riflettendo strada facendo su quell'incontro, a proposito
dell'umiltà colta in me dallo sconosciuto, mi è affiorato alla mente che
nella letterina di Natale dettataci dal maestro cinquantacinque anni or
sono, avevo scritto che Gesù era nato in una stalla per insegnare agli
uomini ad essere umili. Evidentemente
quell'insegnamento io l'ho ricevuto, ma solo da Gesù, non dal mio
maestro, perché non ricordo di averne avuto offerto mai un esempio, né
dentro la scuola e neppure in seguito fuori. E
allora, giacché sta arrivando un nuovo anno, auguro a tutte le persone
umili che esso sia portatore di serenità e pace; invece a quelle tronfie
di "boria", che vengano lambite dal "borea", forte da
trasformarsi in un ciclone, talmente potente da essere rapite nel suo
occhio, anzi risucchiate in quel certo simpatico buchetto e rilasciate poi
(il più possibile lontano da me)... "rumorosamente". Amen!
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29 dicembre 2013