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RITORNI SU LUOGHI DI DELITTI… ma senza essere assassini
Ci sono due fratelli nella piccola foto sotto il titolo, uno si chiama Antonio, fa la prima elementare e lo si identifica subito perché mi assomiglia perfettamente (quando dorme); l’altro Gabriel, fa il penultimo anno di asilo e si riconosce immediatamente anche lui perché ha i capelli lunghi e ricci tipici dei brasiliani, oltre al colore della pelle sempre un po' abbronzata (come una volta disse con invidia Berlusconi ad Obama), che però non si vede. Li ho ripresi sabato 25 gennaio 2020, mentre disputavano un’amichevole di calcio al centro sportivo Bottagisio di Verona. Sono andati lì da Varese ed
il loro papà Stefano ha interpellato i nonni per l’occasione, chiedendo
loro: perché non venite anche voi a Verona a vedere i vostri nipotini? Si poteva rifiutare un
siffatto invito? Allora alle sette del mattino
tutti in pullman (ce n’erano ben tre per caricarci tutti), partenza, via.
Alle 10:30, eccoci giunti a Verona, la città dell’amore e del pandoro,
recitava un cartellone pubblicitario all’ingresso della famosa città veneta. Due ore scarse per poterci
fare un giro, puntando diritto all’”arena” ed alla casa di “Giulietta”.
Ed ecco il famoso balcone dal quale conversò furtivamente con Romeo,
prima che si consumasse la tragedia shakespeariana. “Romeo e Giulietta”, era
un’opera che avevo letto da adolescente, per avermi prestato il libro il
mio dirimpettaio “Mastron”. Ad onta dell’epiteto spregiativo
attibuitogli, ovverosia di un mastro grossolano, egli era invece una
persona fine ed acculturata, se aveva dei libri in casa e, tra questi,
quello famoso scritto da Shakespeare. L’emozione di
quell'ineffabile storia d’amore mi è esplosa non appena fatto ingresso nel
cortile della casa di Giulietta Cappelletti e visto quel balcone, al punto
che mi son dovuto allontanare da mia moglie, confondendomi nella ressa dei
visitatori, per non farmi vedere i goccioloni di lagrime. I visitatori erano talmente
tanti che bisognava attendere non poco per fare la fotoricordo a
fianco della statua di Giulietta. Il rito vuole che le si prenda in mano il seno
ed allora, non essendovisi mia moglie attenuta - come evincesi dalla foto
di cui sopra postata nello stato del suo smartphone -, s’è beccata un sonoro
rimprovero da mia figlia: “la tetta o si tocca bene o niente”. Al che ho ribattuto che “
io l’avrei toccata senz’altro bene”, ma poi, ricordandomi che nella
prima decade di marzo prossimo è attesa la sua prima bambina Giulia, ho
rettificato subito: “anzi no perché si tratta di una quasi mia
nipotina”. Ma questo che sto raccontando
che ci azzecca (avrebbe detto Antonio Di Pietro nella sua requisitoria
contro di me ove imputato) col ritorno sul luogo del delitto? Ci azzecca, perché trattasi
di un ritorno a Verona, dopo esserci stato nel mese di novembre del 1991
per una vicenda che sapeva di delitto. Se, quattro secoli e mezzo prima,per
puro amore, avvenne quello del suicidio di Romeo e Giulietta, io mi
recai invece a Verona per sventare un amore torbido, nutrito da un
farabutto nei confronti di una ragazza con meno della metà dei suoi anni,
irretita in un plagio dal quale non sapeva come liberarsene. Chiesto il mio aiuto, non
esitai un minuto ad andare ad affrontarlo, tendendogli l’agguato in
ospedale quando
fece ritorno alla sera nel suo studio per svestirsi e rivestirsi.
Riconosciutolo dagli indizi fornitimi, mi feci avanti dicendogli:”
queste sono le chiavi che Giulietta (uso il nome di donna per antonomasia
di Verona) mi ha incaricato di consegnarle. Da oggi lei diventa una
ragazza libera e non soggiacerà più ai suoi ricatti e minacce. Non osi
molestarla più.” Poi, sollevando il bavero del
trench che indossavo e mostrandogli il microfono nascosto, ho concluso:
“sappia che qui ho la registrazione di questo incontro per tutto quanto
potrà servire”, e troncai così le mie fulminanti comunicazioni mentre mi
allontanavo. Allora andai a Verona per
compiere soltanto questa missione e non ammirai alcuna sua bellezza,
questa volta invece ho potuto apprezzare questa monumentale città. Prima di concludere, voglio
riferire di due simpatiche sorprese. La prima è stata che a
pranzo mi sono ritrovato di fronte a tavola nientedimeno che i vicini di
casa: meno male che siamo in ottimi rapporti! La seconda è che, prima
della partita, ho incontrato al centro sportivo un signore di Verona col
quale è sorta una spontanea conversazione che non voleva terminare più e
che, mio malgrado, ho dovuto interrompere per andare a guardare i nipotini
giocare. Salutandoci, ci siamo quasi
abbracciati come due vecchi amici, scambiati i numeri di cellulare,
promessi di incontrarci. La cosa più simpatica e curiosa la dico alla
fine: si chiamava egli Giorgio come quel farabutto per il quale andai la
prima volta a Verona. Ma il titolo è al plurale ed allora debbo aggiungere il racconto
del ritorno su un altro luogo di delitto, stavolta per fortuna senza
morti ed assassinii. Con mia moglie eravamo
l’altro giorno in centro a Varese e, mentre passavamo davanti allo
stabile sito nella centrale piazza Monte Grappa, una volta sede della Standa (ora dell’OVS), le ho detto:
“senti andiamo dentro, voglio che mi fai vedere esattamente lo spazio
dove nel 1972 venisti a fare la commessa del reparto profumeria”. E lei,
ritornando indietro di quasi mezzo secolo, lo ha delimitato, ricordando
come allora dovesse fare tutto a mente il conto della merce acquistata dai
clienti, e come tanti di loro le chiedessero quale fosse l’ombretto del suo viso,
per prendere proprio lo stesso… nella speranza di assomigliarle. Ed in quel posto lei mi
pensava e sognava, mentre la pensavo e sognavo anch’io, e fu vista da
“Carmena Pappon’” che, venendo a Banzi lo riferì a mia madre. Così dovetti aggiornare le
mie informazioni: non lavorava più nel negozio a Besozzo in via
Bertolotti, 6, di fronte al pescivendolo, che l’aiutava ogni mattina a
tirare su la saracinesca e dove le avevo spedito alcune cartoline da
Firenze, Pisa e San Marino durante la gita scolastica del 1971. Quando nel 1976 ho fatto a
Pesaro il car (corso addestramento reclute), avevo un commilitone il cui
cognome era proprio Bertolotti: mi è sorto nei suoi confronti uno
spontaneo (e reciproco) sentimento di simpatia ed affetto da volerci un
gran bene. Oggi sono andato a recuperare
quelle cartoline, che lei aveva conservato prima di sposarci ed io
accuratamente dopo. Mi piace riportare qua quella
spedita da San Marino con il messaggio che le avevo scritto dietro:
eccola. La
purezza e l’incanto di questo meraviglioso panorama mi riportano
felicemente a te San Marino continuiamo ora a
vederlo da lontano dal terrazzo del sesto piano quando siamo nella nostra
casa al mare a
Tagliata di Cervia … e siamo felicemente insieme. |
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30 gennaio 2020