saccheggio alla casa del
gastarbeiter
... mamma li nuovi turchi!
Mamma
li turchi! Era l'espressione di sgomento e terrore, pronunciata secoli
addietro, nello scorgere all'orizzonte le galee con cui le orde di predoni
sbarcavano armati di scimitarre sulle coste meridionali, per fare razzie e
saccheggi. Perso
l'originario significato drammatico-tragico, tale locuzione viene usata ora
perlopiù come una scherzosa metafora enfatica, mentre le varie torri di
avvistamento disseminate lungo le coste del Salento, svolgono solo la
funzione di indicare una località balneare più o meno attraente. Io
ho frequentato per qualche anno quella di Torre Vado e vedevo che la signora
Cesarina che ci ospitava (lei però aveva modernizzato il suo nome in Sara
mentre il marito non aveva potuto fare nessun adattamento al suo Pantaleo)
mi guardava con un certo timore, non saprei dire se di natura reverenziale,
indotto dal sapermi poeta, oppure connotato di paura, per intravedere ancora
in me qualche sembianza del mio remotissimo capostipite turco. Comunque,
io non approdavo sulla costa di Torre Vado con la galea, vi giungevo col bus
da Lecce, dopo aver trascorso una notte sulla Freccia del Levante.
Ovviamente non portavo con me neppure alcuna scimitarra, perché, sempre
ovviamente, non la possiedo. Di armi non ne possiedo alcuna, a meno che non
si voglia considerare tale quella dello scrivere, che, mi sto rendendo
conto, pare procurare a volte delle ferite. Una
è di appena qualche giorno addietro. Ricevo una mail da una mia
conterranea, che mi invita a partecipare l'anno prossimo, il 21 marzo a
Potenza, al concorso internazionale di poesia, organizzato dalla Universum
Academy & Università della Pace, della quale afferma di esserne
presidente. Nello
stesso tempo questa autodichiarata poetessa, avendo visitato, su indicazione
di un'amica, la mia pagina "Afflati
di lucani per la propria terra", ha pensato di mandarmi, a
che la inserissi in tale pagina, anche una sua "Lucania":
"una" Lucania perché ha composto evidentemente tante poesie con
lo stesso titolo, distinte con l'aggiunta di un numero progressivo,
esattamente come ha fatto un poeta di Banzi con "Il mio paese
(1)", "Il mio paese (2)", "Il mio paese (3)", e così
via (non so ora a che numero sia arrivata la collezione). La
Lucania inviatami dalla presidente della Universum Academy & Università
della Pace era la prima della collezione: era titolata infatti
"Lucania1". Cercando
di tenere a bada il mio naso, che ne aveva già subodorato l'odore, ho
aperto il file della poesia e ho dovuto riconoscere che la mia propaggine
facciale non aveva torto se si stava predisponendo a storcersi. La
poesia era infatti esattamente questa:
Il
freddo, bianco sole di
gennaio cade
sulle coste innevate: scintillano,
come diamanti, le
falde dei monti e
la mia terra, impotente
e sommersa, volta
le spalle alla vita. E
abbandonandosi al
gelido silenzio, ricorda
le lunghe stagioni agonizzanti
in
un perpetuo alternarsi di
sentimenti contrari, fatti
di angosce e incertezze, entusiasmi
brevi e
malferme illusioni. Sublime
tragicità in
questo suo ultimo, disperato attaccamento
alla vita che
lentamente va
dissolvendosi in
una bianca, pacata, assorta
pensosità, che
la fa apparire smemorata, impassibile,
preda di
quel freddo torpore da
cui la primavera farà
nascere il grano. Dopo
averla letta mi sono chiesto: ma dove sta l'afflato? Quali versi fanno
scoccare una sia pur lieve vibrazione d'emozione? Non
ho potuto trattenermi allora dal comunicarle, con sincerità, la sensazione
ricevuta da quello scritto ed il mio giudizio, scrivendole: Gentile ...., La ringrazio molto della Sua mail. Tuttavia, quanto al concorso di poesia,
non ho mai inteso parteciparvi e ne rifuggo tuttora dal farlo; quanto
alla “Sua Lucania 1”, ha una modalità espressiva che non mi emoziona,
perché appare come un prodotto artificiosamente costruito, per quanto con
parole ricercate e miranti a colpire il lettore, le quali però alla fine
lasciano (almeno questo è l’effetto che hanno fatto a me) solo un
roboante rumore.
Lettera
alla quale mi ha risposto, dicendo di non nascondere di sentirsi
"ferita" dal mio giudizio espresso sulla sua "Lucania
1". Comunque,
debbo dare atto che la presidente della Universum Academy & Università
della Pace si è comportata da vera gentile nobildonna, avendomi comunicato
con una semplice mail di essere stata "ferita" dalle mie parole,
non ha fatto ricorso a raccomandate ed atti giudiziari, come certe persone
che pretendono di essere nobildonne solo perché si mettono addosso un
vestito di altezzosa superbia, sotto il quale non hanno poi niente, se non
un buco alla pari di una qualunque popolana lasciva, che se lo fa riempire
di sborra alla prima occasione. Ed
a proposito di raccomandate, nascosta in un anonimo plico che fungeva da
"Cavallo di Troia", me ne è apparsa improvvisamente ancora una
sulla scrivania di uno dei comuni dove presto servizio. Visto chi ne era il
mittente (al quale, già diverse volte, avevo cercato garbatamente di far
capire che detesto le raccomandate), stavolta non l'ho neppure aperta e l'ho
buttata direttamente nel cestino. Ma,
ritornando ai Turchi o Saraceni che fossero, qualcuno di questi non doveva
essere poi cattivo cattivo se, come supposto in altra pagina, potrebbe
essere stato il mio capostipite, ipotesi non del tutto fantasiosa, come
dimostra la mia dose, sia pure alquanto annacquata, di tale qualità
d'animo, che non manco di palesare in più di un'occasione, procurandomi non
poche antipatie e grattacapi per i graffi, lesioni e ferite prodotti. Ma
dove si sarà sistemato quel saraceno non cattivissimo, quando prese la
risoluzione di non trascorrere solo una notte a Banzi? In una grotta? In una
capanna? In mezzo o dietro la piazza? Potrebbe essere stato dietro la
piazza, perché ho scoperto che un Carcuro meno remoto antenato del mio
albero genealogico vi abitava in una casa situata proprio lì, non del tutto
inverosimilmente passata di mano in mano dal Carcuro saraceno. Con
la piazza io invece non ho avuto mai a che fare quanto ad abitazione, avendo
abitato sempre nella gloriosa via Garibaldi, al numero civico 39 fino ad una
certa data, divenuto poi 102 in occasione di qualche censimento, quando la
via è diventata satura di case. Per
l'allora ufficio di registro di Palazzo San Gervasio però le case erano
diventate due, sicché, quando avemmo a che fare col pagamento del canone
Rai per la radio acquistata nel 1962 (o forse 1963), pretendeva che ne
pagassimo due, uno per la radio detenuta nell'abitazione risultante
all'attuale numero civico 102, l'altro per quello del defunto numero civico
39. Mi
ricordo che quell'ufficio di registro mise in atto una vera e propria
persecuzione nei nostri confronti, con atti di precetto che ci faceva
notificare, che mia madre intendeva rifiutare perché ingiustificati, ma che
il messo (suocero dell'allora barbiere Rigato) le buttava comunque addosso e
che lei poi raccattava nolente per terra. L'odiosa
vicenda ebbe fine solo grazie ad una lettera del maresciallo dei carabinieri
(alla cui intercessione mia madre fece appello), che io consegnai
direttamente all'ufficio di registro di Palazzo San Gervasio, giacché
all'epoca andavo già lì a scuola, a ringraziamento della quale mia madre
fece omaggio di un bel cesto di fichi freschi di prima scelta. La
casa dell'originario numero 39 mio padre l'aveva costruita raccattando
blocchi di pietre qua e là, assemblate poi da un mastro genzanese. Quando
fu completata, faceva la sua gran bella figura, distinguendosi da tante
altre case miserabili, perché aveva il pavimento in cotto, la porta e la
finestra con gli scuri, il soppalco per le scorte di grano, in silos di
canne (in dialetto cannacamere), che mi ricordo vedevo costruire ancora dal
vicino di casa zio Michele, soprannominato "u' russ", il quale era
bravo a fare di tutto, a riparare anche le botti, pur se non beveva
il vino in quanto astemio, rendendomi così oltremodo agevole la
comprensione del motto "dare un colpo al cerchio ed uno alla
botte", perché lui lo faceva con destrezza, direi con arte. Nella
via Garibaldi era all'epoca la casa estrema e davanti non c'era alcuna
costruzione, così che il sole al mattino vi faceva capolino direttamente
dentro, illuminandola e scaldandola, portandole il nuovo giorno per prima. Il
tetto non era fatto di canne e paglia come tante altre, era composto da
tavole ben incastrate l'una nell'altra, in modo che non filtrasse uno
spiffero d'aria. E
le robuste travi, munite di anelli in ferro e chiodoni, reggevano ogni peso:
inserte di pomodori, peperoni, uva, pezzi di lardo, il maiale intero che
veniva appeso aperto, dopo essere stato ammazzato, per frollare. In
quella casa hanno visto per la prima volta la luce sette creature, mentre
quattro vi hanno chiuso per sempre gli occhi. Sono uscite da lì tre spose,
ritornandovi con tanti bambini. Ci sono state tante partenze e tanti
ritorni, lagrime di tristezza, di dolore e di gioia. Infine
vi hanno albergato anche cavalli, maiali, galline e conigli e non voglio
dimenticare neppure la
mia gatta. Quella
casa venne riedificata ed ammodernata nel 1974 con i risparmi messi da parte
grazie alle rimesse inviate da mio padre gastarbeiter in Germania ad
Haltingen dal 1961 a fine 1973. A
distanza di quarant'anni, tuttavia, tocca fare una scoperta paradossale,
effetto delle alchimie distorsive ed aberranti dalla politica, ovverosia
scoprire che mio padre non è andato a fare il gastarbeiter a beneficio
della sua famiglia, bensì di gente estranea, perché con la varie ICI,
IMU,TASI,TARI ed IRPEF è come se le rimesse inviate a suo tempo da
Haltingen vengano dirottate ora, a scoppio ritardato, a favore di altre
persone, in particolare della pletora di inquilini del palazzo municipale. Valga
un solo dato a dimostrarlo, dedotto da un documento ufficiale qual è la
relazione di inizio mandato firmata dal sindaco e pubblicata sul sito web
del comune di Banzi: la spesa pro-capite di personale di detto comune per
l'anno 2013 è stata di ben € 412,76. Se si considera che, ad esempio, per
il comune di Piedimulera (uno dei miei quattro) è stata di soli € 222,32
(ovverosia quasi la metà), non puoi non sentire dentro rabbia ed
indignazione, perché la deduzione matematica, che ne deriva, è che mio
padre ha fatto il gastarbaiter per concorrere a dare lo stipendio (con
aggiunta per taluni anche della retribuzione di posizione e di risultato)
agli inquilini del palazzo comunale di Banzi. Qualcuno
potrebbe dire che mi sbaglio, perché la mitragliata di imposte e tasse non
la paga mio padre bensì io: peggio ancora, ciò grida maggiore vendetta,
giacché è davvero un paradosso grottesco che io sia stato costretto ad
emigrare dal mio paese per far fronte, non solo ai bisogni della mia
famiglia, ma per soddisfare anche tutti gli agi e le comodità delle
famiglie degli inquilini del palazzo municipale di Banzi. Il
30 aprile 2006, nella pagina "Noi
ci darem la mano", avevo auspicato una fusione dei comuni di
Banzi e Genzano. Penso che all'epoca Vertone leggesse i miei scritti (forse
una capatina la darà tuttora facendo finta di niente), ma tale suggerimento
non gli sarà, assai ovviamente, piaciuto, perché avrebbe comportato il
sacrificio della propria carica, dei suoi agi e comodità, nonché di quelli
dei dipendenti del comune di Banzi che lo votano in massa, con tutto il
parentado, compari ed amici. Egli
avrà pensato: perché rinunciare al nostro status di privilegiati? Tanto
paga Tonino ed i fessi come lui! Uno
poi chissà che congettura fa circa il fatto che non stia più ritornando al
mio paese. Fra i principali motivi anche il timore di non riuscire a tenere
a freno l'impulso di dare una paroccolata in testa a chi fa la spola dalla
villa di campagna al palazzo di città (la famosa "città culla del
diritto" di Sapio), capo della nuova orda di turchi saccheggiatori
delle case vuote dei gastarbeiter. Ed
io voglio preservarmi i motivi di gioia e felicità che ho qui, suscitati in
particolare dai meravigliosi nipotini Sophie ed Antonio (ed a metà febbraio
è in arrivo anche Gabriel). A Natale saranno tutti a casa mia con le loro
famiglie, anche a dormire. Teresa ha fatto già una montagna di dolci, come
si usava a Banzi. Sono
già pronto a deflagrare di gioia accendendo la miccia del "Capriccio
spagnolo" che Antonio ama ascoltare e cantare. La
mia gioia io me la sono conquistata con la sofferenza, i sacrifici, il
lavoro duro e tenace, l'onestà. Chi, invece, pretende la gioia regalata, come una manna dal cielo, dai figli dei gastarbaiter, passando davanti alle loro case deve solo vergognarsi, vergognarsi e vergognarsi, fino a schiantarsi dalla vergogna.
E' ora che a Banzi si capisca che le agiatezze e comodità del loro vivere non vengano fatte pagare da persone che non hanno più niente da spartire con i banzesi e che debbono badare solo alle proprie famiglie e contribuire alle spese del paese/città dove vivono. E' inutile continuare a far finta di niente e campare di illusioni di posti pubblici moltiplicati a dismisura e pensioni procurate in certa maniera. Bisogna che i banzesi ritornino a lavorare ogni fazzoletto di terra, ripulendolo dai rifiuti che vi sono stati disseminati, a pascolare capre, pecore e mucche, ad allevare galline, conigli e maiali, come una volta. Altro che quattro netturbini e tre vigili a gironzolare per la piazza e le strade del paese (oltre ai tanti altri dipendenti imboscati nei vari uffici): si vada a raccattare la massa di rifiuti sparpagliata sul sacro territorio di Banzi e si ritorni a zapparlo. Durante le mie passeggiate, percorrendo la strada per il bosco di "Sardidd", una volta era un piacere incontrare e salutare Gerardo Lasala, poco dopo il suo imbocco, che coltivava lì il suo orto. Le ultime volte che mi è capitato di andare (ormai oltre dieci anni fa) quell'angolo di paradiso terrestre era diventato una discarica incontrollata, un luogo orrido ed abominevole, dove venivano depositate rfiuti di ogni genere dell'evoluta civiltà banzese. Forse tutto il territorio di Banzi sarà diventato così: uno scempio! Vivamente sconsigliato dall'andare a vedere. |
21 dicmbre 2014