IL TEMPORALE
C'è stato un bel
temporale stasera. Per precauzione ho spento il computer, onde evitare che
venisse danneggiato da eventuali sbalzi di tensione causati da scariche di
fulmini. Sono stato a lungo fuori in giardino al riparo sotto il balcone,
incantato a guardare la pioggia cadere.
Non ho più paura dei temporali adesso,
come invece ne avevo da bambino, ed anche per un po' di anni oltre l'infanzia.
Tuttavia un potente fulmine, abbattutosi non molto lontano, un po' di spavento
me l'ha fatto venire, e non solo a me, ma anche a diversi allarmi che si sono
messi tutti a gridare; ed una certa apprensione me l'ha procurata vedere gli
aerei decollati dalla Malpensa prendere quota in cielo, indifferenti tra le
nuvole ed i bagliori dei lampi.
Una volta non era così. Con un simile temporale sarei
rimasto ammutolito senza fiatare, in un bagno di sudore sotto le coperte, in
preda al terrore. Oppure, se non potevo andare a letto, sarei rimasto attaccato
a mia madre, per avere conforto e protezione. Mia madre sapeva molto bene quanta
paura avessi dei temporali e, se per caso udiva qualche tuono ed io non fossi
già rincasato, mi veniva a cercare in giro, immaginando lo spavento che mi
prendeva.
Peraltro ciò era un'evenienza rara, perché io ero sempre
guardingo, monitoravo il cielo in continuazione e, come notavo che le nuvole non
fossero tutte innocenti, bianche e vaporose come spose, e che apparisse qualcuna dalla cera
un po' cattiva, che potesse assomigliare anche solo vagamente ad una strega, non stavo ad aspettare il brontolio di tuoni lontani per
approssimarmi a casa.
A causa della paura dei temporali, la stagione che preferivo
era l'inverno: il cielo diventava finalmente tranquillo, mite, buono, e
quand'anche fosse scuro, denso di nuvole nere, non si arrabbiava mai. Poi che
bello quando lasciava cadere la pioggia che frusciava sui tetti bassi delle
case, filava a catenella dalle tegole, zampillava nelle conche che le nostre
mamme vi appostavano sotto per fare la scorta, risparmiandoci così di andarla
ad attingere alla fontana; ed era un riposo generale: della natura, delle
persone, di tutti gli animali.
Nelle nostre case intanto il camino scoppiettava allegramente
di ceppi accesi, lambendo con la fiamma qualche pignatta piena di fagioli, fave,
ceci, lenticchie, cavoli con la "coria" (cotenna) che borbottava a sua
volta, effondendo il suo profumo intorno, che stuzzicava già tanta fame, mentre
le nostre mamme, davanti al tagliere, preparavano nel frattempo la pasta a mano,
"capunt", "capuntidd", "lagan", "ricchitell".
In un angolo della casa, separati da un muretto, le galline cantilenavano, i
conigli sbattevano le zampe per terra, il maiale ronfava, ignaro del destino che
lo attendeva poco dopo Natale.
Poi non voglio parlare qua della magia della neve durante
l'inverno, che merita un racconto tutto per sé e, se mi soffermassi su di essa,
andrei fuori tema.
Ma l'inverno durava poco, forse anche meno di tre mesi per
quanto riguardava i temporali, ed il primo mi coglieva sempre di sorpresa:
invece di piovere e basta, boom, all'improvviso udivo echeggiare qualche tuono:
mia madre diceva che l'inverno era "frasciato", cioè abortito, e
finiva per me la tranquillità.
I temporali arrivavano in prevalenza da nord: mio zio Rocco
si affacciava al lato della casa, scrutava l'orizzonte in direzione di Palazzo
San Gervasio, io intanto scrutavo lui per capire che diagnosi facesse, e lui ne
annunciava l'arrivo, preceduto da un greggio di nuvole che però non belavano,
bensì emettevano versi minacciosi, che si trasformavano, a mano a mano che
il temporale si approssimava, da brontolii, in scoppi rabbiosi di collera. E
cominciava per me l'agonia, a sentire il cielo che sembrava scaricare per terra
massi enormi che rimbombavano, rimbalzavano e rotolavano, oppure menare tremendi
colpi di scure che si abbattevano sui tetti delle case e li sconquassassero.
Ed ogni volta che il temporale finiva, era come essere stati
risparmiati dalla morte, e, con lo spirito sollevato, era un'autentica gioia
festeggiare lo scampato pericolo facendo scorrere sul rigagnolo dell'acqua
piovana, prima che si esaurisse, qualche barchetta di carta, che portava via
tutta la paura che avevo accumulato prima dentro.
La paura per il temporale si trasformava in
terrore quando capitava che mia madre era in campagna, perché mi mancava la sua
protezione e poi anche perché immaginavo mia madre esposta a fulmini e tuoni
senza alcun riparo. Allora ci andavamo a rifugiare dalla zia accanto, che però
aveva più paura lei di noi, e ad ogni lampo o tuono si faceva il segno di
croce, triplo se erano particolarmente cattivi. Peraltro non
potevo neppure rimanere fermo attonito a gestire la mia paura, ma dovevo correre
qua e là in casa a parare secchi, conche e bacinelle perché colava pioggia dal
tetto.
Poi accadde, forse nel 1958/1959, che non molto distante da
casa un fulmine uccise davvero una persona. Era uno di Genzano, scoperto in
seguito essere stato egli padre del mio compagno di scuola Loguercio, che stava mietendo. Allo
scoppio del temporale, mentre correva per andarsi a rifugiare da qualche parte,
un fulmine lo colpì.
Quel fatto aumentò ancora di più la mia paura, arguendo che
i fulmini non facevano solo rumore con i tuoni che ne seguivano, ma che ti
potevano uccidere davvero. Quanto tempo trascorse poi prima che mi venisse il
coraggio di passare davanti alla lapide che fu posata dove morì quel
disgraziato!
Ma dovetti sforzarmi parecchio anche per superare la paura di
andare a frequentare la scuola media a Palazzo San Gervasio, il cui luogo associavo come ad una sorta di fucina dove si preparavano i temporali.
Col professore di lettere Antonio Proto capii però che il
temporale poteva diventare anche una poesia, "La quiete dopo la
tempesta" di Giacomo Leopardi: non feci alcuna fatica a comprenderne il
significato ed egli, oltre che bravo professore, quasi un padre amorevole, mi
aiutò a crescere, ad avere fiducia, a superare anche la paura dei temporali.
Penso però che mia madre per precauzione, quando starò per
ritornare da lei, comunque mi correrà incontro.
MI CORRERAI INCONTRO
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... e la famosa poesia di Giacomo Leopardi
Passata è la tempesta: |
(4/31 luglio 2005)