"UN PAESE VUOL DIRE..."
...ma anche "Un paese
ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via"
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Non c'è chi non possa non rendersi conto come, a quasi ogni latitudine e longitudine del globo terrestre, stia imperversando qualche sconvolgimento sociale, politico ed economico. Ovviamente, neppure il nostro "Bel Paese" ne è risparmiato, anzi più di altri ci procura in continuazione brividi da montagne russe, fibrillazioni ai deboli di cuore, l'incubo costante di essere finiti sul ciglio d'un baratro, sul quale penzoliamo appesi al filo di speranza di non riuscire neppure una volta a mancare di collocare i nostri bot, a qualunque costo ...di spread. I nostri governanti non è che stiano con le mani in mano, si arrovellano anzi a ricercare ogni possibile soluzione per salvare l'Italia. L'ultima escogitata, se non la sapete ancora, è che le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni sostitutive delle certificazioni e dalle dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà. Con la conseguenza che sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi», e quella ulteriore che integra violazione dei doveri d'ufficio del dipendente il rilascio di un certificato privo di tale dicitura. Lettore, se ritieni utile ed efficace al salvataggio dell'Italia tale disposizione, ti chiedo per favore la cortesia di farmelo sapere. Ritengo invece senz'altro non inutile per cambiare le sorti dell'Italia l'idea di ridurre il numero dei comuni, sopprimendo e fondendo/incorporando quelli piccoli. Essa era già stata inserita nella legge 142 del 1990, ma, in quanto la sua realizzazione rimessa alla volontà degli amministratori locali, è rimasta "letteralmente lettera morta". Ripresa e rilanciata (con una certa forza coercitiva) in provvedimenti normativi recenti, ha suscitato la ribellione di una marea di sindaci, che avrebbero dovuto cercarsi un altro mestiere. Uno dei miei quattro sindaci, appena otto giorni dopo la pubblicazione del decreto legge n. 138, ovverosia domenica mattina 21 agosto, convoca una seduta straordinaria di consiglio comunale per far deliberare all'unanimità un "Ordine del giorno contro l’accorpamento dei Comuni con popolazione fino a mille abitanti previsto dalla manovra finanziaria del 13 agosto 2011", scomodando a parteciparvi non solo me segretario comunale, ma anche tutti i politici eminenti della provincia del Verbano Cusio Ossola (on. Marco Zacchera, on. Valter Zanetta), oltre a presidenti di comunità montane ed altri sindaci. tra i quali quello di Domodossola (venuto però solo a scrollare la testa per il sonno... alla Berlusconi), di Vogogna (Presidente anche dell’UNCEM) Enrico Borghi, al cui fianco ebbi modo di assistere ad una (sola per fortuna) seduta consiliare al calor bianco. Davanti al municipio di Vogogna ci transito un paio di volte alla settimana. Avendo notato il look nuovo della facciata, mi sono fermato a leggere le scritte apposte: un pensiero di Giorgio Napolitano (attuale Presidente della Repubblica) ed un altro di Cesare Pavese. Nulla da dire sulla definizione data da Napolitano del comune, salvo rilevare che egli non ha stabilito che ogni gruppetto di case debba assurgere a tale rango. Per quanto attiene invece il pensiero poetico di Pavese sul "paese", non avrei da eccepire "quasi" nulla. "Quasi" perché il sindaco Borghi ha fatto un po' il furbo nel dare disposizioni per l'esecuzione della trascrizione del pezzo dello scrittore-poeta suicida piemontese, avendo egli fatto omettere dall'imbianchino la frase iniziale "Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via", che fa da contraltare a tutto il resto. Comunque, non posso nascondere che una certa emozione me l'ha suscitata la lettura della scritta tratta da "La luna e i falò", almeno per quanto attiene il "sapere che nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti". E penso che Pavese sarebbe rimasto contento nel vedermi in raccoglimento davanti ad essa, come ad un suo epitaffio. Proverebbe invece almeno disappunto, se si accorgesse della manipolazione e strumentalizzazione fatta a scopo politico, finalizzata a far coincidere inscindibilmente il comune con il paese, il che non è, perché essi sono due entità ben distinte e diverse. I politici sono tutti dei Macchiavelli, per i quali il fine giustifica i mezzi, anche se a volte in senso rovesciato, come quando un leader capo di Governo usa il mezzo della politica per fottersi qualche deputata o consigliera regionale, o farsi gli affari propri. Non mi sorprenderebbe che, anche qualche altro sindaco, caso mai lucano della provincia di Potenza, prendendo (sempre caso mai) spunto da questa pagina, faccia affrescare pure lui la facciata del municipio con qualche poesia del proprio vate, non per dire che un paese-comune "ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via", bensì per il bisogno di tornarci ogni volta possibile: scommetto poi che, a differenza di Pavese, il vate paesano non proverebbe alcun disappunto, anzi! Comunque, che un paese ci voglia e cosa esso significhi, è forse più titolato a dirlo chi, come Pavese, dal proprio paese è andato via. Non solo, forse anche per interpretare autenticamente il pensiero di questo scrittore-poeta bisogna avere lo stesso titolo. Non ho voglia di candidarmi io a farlo, ho trovato casualmente una bella pagina di un blog, scritta da "Elettra" che lo fa assai bene, con la quale questa giovanissima ragazza trasferitasi a Milano racconta ciò che attraversa l'animo di chi, per scelta o costrizione, prova "il gusto di andarsene via" dal proprio paese. Non fermatevi però a leggere solo quella pagina, andate oltre: successivamente deve essere intervenuto qualcosa che ha corroborato il morale di Elettra e, facendole aggiustare un po' il tiro, ha trovato che "Un paese ci vuole, ma una città è meglio...", perché (aggiungo io) l'aria della città rende liberi. Aggiungo poi ancora che non si può fare come Orazio che "Romae Tibur amem, ventosus Tibure Romam" (sono come il vento, a Roma mi piace Tivoli, a Tivoli mi piace Roma): bisogna radicarsi da una parte e dare un taglio netto alla nostalgia per il proprio paese, rimanere sordi a quel qualcosa di tuo che resta ad aspettarti. Del resto, il Cincinnato lo posso fare anche qua in questo nuovo paese dove mi sono trasferito, allorché cesserò di fare il segretario comunale. Se riuscirò ad acquistare parte del terreno antistante casa, potrò forse piantarci anche la vigna come il mio dirimpettaio. Certamente coltiverò pomodori, patate, insalata e legumi, in particolare i fagioli dall'occhio, una specialità di questo posto: ho incontrato il sindaco a fine anno, me ne ha regalato un sacchetto in omaggio per farmeli assaggiare: erano davvero buoni! A proposito, il primo cittadino del mio nuovo paese è un lucano originario di Latronico. Chiacchierando durante quell'incontro, gli ho partecipato il grave lutto che aveva colpito di recente il suo paese natio. Solo che ignorava bellamente chi fosse Mitidieri. Grazie al figlio di mio cugino io invece ne ero al corrente, così ho potuto renderlo edotto, anche del particolare che Mitidieri fosse solito chiedere ai suoi collaboratori se avessero contato le pecore fino a mille. Al che il mio interlocutore ha osservato che un politico non può impiegare tempi biblici per prendere decisioni, deve agire tempestivamente: se sente il bisogno di contare prima le pecore fino a mille, nel frattempo i buoi scappano dalla stalla! Quanto invece alla Lucania, piuttosto che limitarsi a contare metaforicamente le pecore, sarebbe invece utile ritornare a pascolarle, in greggi anche parecchio inferiori a mille. Se non ci fosse più nessuno disposto a farlo, ci andrei io, perché forse nella terra lucana c'è ancora qualcosa di mio che è rimasto ad aspettarmi. Ove mi sbagliassi, ritornando in Lucania potrei almeno tenere fede all'impegno assunto con la signora Mimma di Tricarico trasferitasi a Pisa da venticinque anni, di andare a salutarla di persona e fare insieme visita al suo illustre compaesano Rocco Scotellaro, innanzi alle cui spoglie raccoglierci in religioso silenzio. A conclusione di questa pagina, mi piace riportare la bella lettera ricevuta da Mimma due mesi fa, sembrandomi il suo contenuto non del tutto fuori tema, perché pure lei ha dovuto provare "il gusto di andarsene via" dal suo paese Tricarico.
Da: Mimma ..... Salve Antonio, Mimma .... P.S. Per completezza di cronaca circa le reazioni avverso le nuove disposizioni introdotte per la riduzione degli apparati politici, debbo dire che anche il presidente del consiglio regionale della Basilicata Vincenzo Folino è intervenuto per dire la sua, affermando, nella conferenza d'inizio anno con i giornalisti, essere "un errore ridurre i consiglieri regionali della Basilicata da 30 a 20, perché diminuirebbero gli spazi di partecipazione e democrazia delle aree più periferiche della regione". Non
tutti i lucani la pensano però come lui e, ad esempio, il redattore di
Basilicata 24, Stanislao Slao, confuta con convincente
argomentazione che alla democrazia della Lucania servano 30 poltrone
di consigliere regionale, convincimento condiviso, tra gli altri, anche da
"Astronik"(ciao Antonio Nicastro è tanto che non ci sentiamo
più), il quale giustamente sbotta alla paesana maniera con un bel "E
ke kazz..... " Non ho trovato invece nessun intervento in merito da parte del responsabile della comunicazione lucana. Immagino tuttavia come egli non possa non essere d'accordo col successore di Mitidieri (padrino di cui si sentirà ora orfano), anzi più che d'accordo, trovando che ciò di cui la Basilicata ha invece bisogno è incrementare il numero dei consiglieri regionali, provinciali, comunali, creare anche i CO.PRO.COM. ed i CO.CO.COM., gli acquedotti provinciali e comunali, perché altrimenti come si fa a sistemare la genie di vassalli, valvassori e valvassini che prolifica ed avanza numerosissima? Si eviti poi la noiosa domanda di sapere chi paga: Totò ha già dato a suo tempo la risposta. Ho
scoperto stasera dell'esistenza in Lucania di un Maurizio Carcuro
(certamente anch'egli un mio parente più o meno remoto) il quale però, a
differenza dell'altro suo parente (sempre più o meno remoto) Massimo, è
molto inkazzato con la Regione Basilicata, spingendosi ad urlare su
Facebook con
altri "lucani indignati" - hanno in programma di farlo anche dal
vivo insieme a Potenza, piazza San Giovanni, sabato 25 febbraio 2012 dalle
ore 10:00 alle 13:00 - "MO
BASTA!!!"...
basta
alla tirannia........la basilicata deve crescere, ha tutte le carte in
regola per farlo!!!!!bisogna cambiare chi ci governa!!!!!!!!!!!!!!potere
ai lucani!!!!!!!!!". Io però questi contestatori non li capisco per niente: non basta loro la fortuna di essere già dei lucani? Cosa vogliono di più dalla vita? "E ke kazz..... ", dico pure io, giacché mi chiamo Antonio come Nicastro.
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11 gennaio 2012